| ONOMASTICAI nomi sono un aspetto fondamentale dell'identità di una persona, e ogni cultura di Atea ha stabilito in che maniera esso agisca da nesso fra identità collettiva e identità individuale. Ciascuno possiede tuttavia una propria storia che potrebbe giustificare un nome piuttosto che un altro, e in gioco non c'è alcuna regola o legge che imponga l'utilizzo di determinate tipologie di nomi rispetto ad altre. Di seguito verranno solo spiegate le tradizioni continentali e qualcuna extracontinentale. Convenzioni generali L'onomastica di Atea è varia come le popolazioni che la abitano, ma gli individui possono generalmente contare su una manciata di regole che è difficile non conoscere che si venga dai palazzi argentei della Trama o dai villaggi annegati nelle sabbie cineree e nella polvere del Firdaus. Per comprendere questo compendio bsogna innanzitutto tenere presente la distinzione fra tradizione idomeana e tradizione idomeana occidentale: quest'ultima è specifica dei territori nel regno di Idomea più prossimi alla capitale, mentre la tradizione idomeana nel senso più esteso si riferisce invece alla nomenclatura adottata dalla maggioranza degli umani nei territori centrali e altrove, spesso estesa ad altre popolazioni; la tradizione idomeana prevede la presenza di almeno un nome che viene determinato dai genitori e un cognome, che può essere accompagnato in occasioni formali da un titolo o da un appellativo.
Dato fondamentale è la preponderanza della lingua idomeana sulle altre (al punto da averla chiamata "lingua comune") ha plasmato le necessità delle diverse culture dalla fine del millennio draconico sino ad adesso: visto che la stragrande parte degli individui sa parlare almeno a sprazzi la lingua comune, si tende ad adattare grafia e suoni del nome all'alfabeto e reparto fonetico idomeano (Xila diverrebbe Scilla). Questa non è una regola assoluta, anzi è raro ad esempio che un abissale decida volontariamente di rinunciare al proprio nome e al proprio retaggio, ma a fronte di reiterate pronunce errate o difficoltà degli altri nel ricordarlo potrebbe accadere che gli viene appioppato un altro nome e che alla fine venga chiamato così.
I nomi determinati alla nascita sono di solito assegnati in base a lingue (e ceppi di lingue) di riferimento al territorio in cui ci troviamo o alla razza di appartenenza. A nord prevarrà il ceppo gaelico (specialmente il gaelico scozzese oppure l'irlandese), mentre nei territori centrali si prediligeranno ceppi di lingue romanze quali l'italiano, lo spagnolo, il francese), al sud infine la lingua germanica (afrikaans, tedesco, danese, etc.). L'alterazione della grafia o pronuncia del nome rispetto alla norma per gusto estetico è comune in Atea, quindi nomi come Celeste possono essere anche scritti come Sel'ess.
Ulteriore norma comunemente riconosciuta sta nel cognome; certe culture non ne adottano uno, altre ne adottano di molteplici, ma di solito l'utilizzo più rigido viene attribuito agli umani. In primo luogo: secondo la tradizione idomeana i figli bastardi non riconosciuti, gli schiavi e i diseredati non hanno diritto ad un cognome. Quest'usanza, conosciuta originariamente anche dagli elfi, si è diffusa anche a sud nei giardini del Maanskyd o le città-stato nel Firdaus come Sidonia.
Il cognome è tipicamente diviso in tre categorie strettamente collegate fra loro: il soprannome, il patronimico e l’arcano. Il soprannome deriva da un appellativo ricevuto da un antenato che, col tempo, è rimasto per indicare l’appartenenza alla famiglia; tipici soprannomi indicano possanza fisica, astuzia, difetti fisici, provenienza, occupazione. Il patronimico (o matronimico, specialmente diffuso nel clero idomeano) specifica invece in maniera diretta la discendenza da un antenato o antenata; l’esempio più lampante è la famiglia reale di Idomea, le cui regine ed eredi recano tutte il matronimico Eosfilia, dal nome della prima regina. L’arcano è sovente essere un soprannome o un patronimico che è però così radicato nell’antichità da non poterne rintracciare la fonte. Le case nobili elfiche, per fare un esempio, fanno gran tesoro dei significati dei loro cognomi arcani e talvolta passano anni di studi per riuscire a risalire alle origini e all’albero genealogico; altri, invece, mantengono per abitudine cognomi di cui non son sicuri del significato.
La convenzione elfica e la Punta superiore La tradizione onomastica più diffusa al nord è quella elfica. Il nome completo di un elfo è normalmente diviso in tre parti: il nome, il nome d'infanzia e il cognome. Il nome d'infanzia è quello che viene assegnato dai genitori al momento della nascita, è generalmente corto e può essere legato ad un evento particolare nel giorno della nascita (Geal, "luminoso", perché era una giornata di sole splendida), un evento significativo accaduto in quel periodo (Sneach, neve, perché nato durante una bufera durata un mese) o una caratteristica particolare (Labhrais, alloro, perché i suoi occhi sono verdi). Il nome d'infanzia resta il nome di riferimento finché non si raggiunge la maggior età, momento in cui l'individuo può scegliere un nome per sé: un elfo può comporre un nome componendo una parola che suoni piacevole all'orecchio oppure scegliere un'altra parola in gaelico che li rappresenti (Ceàrdoir, mastro orefice), oppure ancora mantenere il proprio nome d'infanzia se ritengono li rappresenti ancora (alcuni scelgono di accorciarlo e inserirlo fra il nuovo nome e il cognome, Aramis Labh Uislenn). La scelta di un nome e l'abbandono totale del nome d'infanzia è un tratto culturalmente associato agli elfi di nobile rango, verso i quali c'è una maggior aspettativa di distinguersi e autodeterminarsi.
I draghi seguono un'onomastica simile ma con specifiche differenze: i nomi d’infanzia sono molto corti e generalmente privi di significato: col tempo gli individui aggiungono sillabe e lo fanno crescere secondo le tradizioni che più gli sono vicine, fino a che non ritengono che possegga un suo significato intrinseco che li rappresenti. I draghi non posseggono cognomi, conferiscono invece molto potere ai nomi, più che le altre razze, e privarli di esso per affibbiare soprannomi di sorta è considerato un oltraggio.
I lunari come i draghi non fanno uso di veri e propri cognomi, ma come gli elfi posseggono due nomi: uno dato dai genitori e uno scelto da sé. In quanto popolo riunito in tribù nomadi, fra loro tendono ad identificarsi con un ulteriore -kham seguito dal nome scelto dell’individuo che fa le veci del leader del gruppo, oppure solamente -udir dopo il nome scelto se si è il leader (Vorooli-kham Mikrauu nel primo caso e Mikhrauu-udir nel secondo). Le interazioni con altre razze e culture li portano a rinunciare normalmente a questa seconda parte però, limitandoli al nome proprio.
Le tradizioni naniche, infine, sono ormai andate perse assieme al resto della loro cultura, e i loro nomi si adeguano perlopiù alle culture presenti o si aggrappano a nomi e cognomi arcani, tramandati dalle poche comunità rimanenti.
La convenzione idomeana occidentale e i territori centrali La convenzione idomeana occidentale prevede la presenza di almeno un nome determinato dai genitori e di un cognome, che può essere arcano, un soprannome o patronimico. Nel caso di nobiltà e del clero, i matronimici hanno un peso maggiore e tendono a venir conservati o a sostituire altri cognomi già presenti se le donne di riferimento assumono uno status importante nel regno (come la carica di Gran Sacerdotessa); i soprannomi tendono invece ad indicare origini umili, poiché ai bastardi e ai diseredati viene di solito strappato il cognome originale e devono farsene uno nuovo, che immediatamente sarà indice della sua condizione. In ambienti rurali cognomi di questo tipo sono tuttavia piuttosto comuni, e forse in alcuni sensi anche più rassicuranti alle orecchie della gente più semplice che non vuole farsi troppe domande. La lingua di riferimento non è esclusivamente l’idomeano, bensì allontanandosi dalla capitale vengono sovente impiegati anche i diversi dialetti che sono presenti nelle numerose regioni sparpagliate per il regno. Questi dialetti vengono rappresentati in gioco con altre lingue romanze o avente somiglianze con esse, come il portoghese che pur non essendo lingua romanza possiede numerosi paralleli con lo spagnolo; altre lingue presenti in Europa, con dovute eccezioni perché ad esempio sfruttate dalla lingua orchesca come tedesco e le lingue nordiche, sono pure visibili qui e lì. Questo vale anche per zone non più facenti parte del regno, come Caltrisia (nei cui dintorni si utilizzano nomi tendenti al francese) o quelli ora parte dell’Alleanza (alcuni villaggi sparsi a nord confinanti con il Vaincrun per esempio adottano nomenclature basche).
Pur condividendo la convenzione idomeana occidentale, l’Alleanza osserva un rigido controllo dell’onomastica maggiormente che altrove, finanche imponendolo dall’alto. Nell'Alleanza i funzionari al momento dell’ingresso nei territori sottopongono al vaglio e all’anagrafe i nomi dei nuovi arrivati, e nel caso dei non-umani hanno facoltà di assegnare assegnano nomi speciali caratterizzati da difficile pronuncia o genericità; questi cognomi, definiti “matricole civili”, sono codificati in maniera che solo sentendo il nome un ufficiale possa già capire razza e dettagli rilevanti particolari come la possanza fisica, la capacità magica o il suo ambito di conoscenza ed esperienza, in poche parole un soprannome statalmente imposto. Un elfo o elfa ad esempio avranno sempre un Ean o un Eana, e così via se ci sono altri dati che è necessario rendere palesi di quest'individuo. Le convenzioni di matricola sono così tante da poterci scrivere un piccolo tomo, ma è qualcosa a cui i funzionari addetti sono così tanto avvezzi da poter indovinare al volo il soggetto solo sentendo questo nome. Questa matricola va a sostituire i cognomi originari, che invece i non-umani hanno divieto di esibire in contesti formali. Questo vale soprattutto per le razze minori e per i ceti più umili, mentre nel caso di non-umani che sono riusciti a ritagliarsi un posto più alto (come i Legati) è concesso di mantenere il proprio nome e cognome originale.
Il Kalnas è un caso a parte rispetto alla tradizione idomeana, memore di tempi antichi e funzionali alla guerra eterna fra clan: il nome dato alla nascita rimane tale, come per gli idomeani, tuttavia l’importanza del cognome è data non dalla discendenza ad una famiglia, ma per l’appartenenza agli stessi clan. I clan dominano castelli e regioni del Kalnas, e i più antichi danno alle stesse i nomi: il cognome non è solo un dato di discendenza, ma anche di lealtà e di orgoglio degli stessi individui, che anche se nati bastardi possono aspirare ad unirsi ad una casata; talvolta i figli di illustri guerrieri scelgono di aggiungere il patronimico in occasioni formali o per dar ancor più peso al proprio nome, anche se i più orgogliosi rifuggono da questa ormai datata tendenza, considerata pomposa, e piuttosto assumono un titolo a mo’ di soprannome.
La convenzione tribale e la Punta inferiore La tradizione idomeana si affievolisce parzialmente nella Punta inferiore, dove invece l’utilizzo dei cognomi è subordinato quasi del tutto al riconoscere il valore dell’individuo. Questo deriva dalla cultura dominante, ovvero quella orchesca che domina gran parte del meridione: la convenzione tribale prevede un nome proprio dato alla nascita a cui può essere affiancato un soprannome (Tagka Byl-roi, o Tagka Asciarossa) meritato per bene o per male attraverso atti di significativa rilevanza per la tribù. Mentre i warkar nomadi sono soliti indicare il capotribù alla fine del proprio nome, i vaadar impiegano il nome della fortezza dominata dalla tribù per definire la propria appartenenza. La cultura tribale non è adatta a tutti gli orchi, e col tempo chi non voleva o poteva conformarsi ha finito per abbandonare quella vita per vivere altrove: così la Punta ha finito per trovarsi a contatto con numeri sempre più nutriti di orchi, con loro regole e credo, a mostrar loro un’altra prospettiva. La Punta inferiore è l’ostilità fatta territorio, e il sangue può essere acqua se significa assumere potere o anche solo sopravvivere un giorno in più: il potere è dato soprattutto dalla nomea che uno si fa, e anche nei posti più civilizzati come il paradiso della criminalità costituito da Sidonia il nome della propria famiglia è messo in secondo piano dinanzi ad un titolo che comanda rispetto e timore. Nelle comunità piccole i nomi di nascita possono essere tutto ciò che si ha, e la gente tende a farselo bastare: troppi nomi possono dare alla testa e sono più difficili da ricordare, soprattutto per chi li inventa al volo per non dare il nome vero.
Anche i jin tendono a possedere solamente un nome, che può essere un suono che può appartenere ad una parola a loro cara in una qualunque lingua oppure una parola priva di significato che però suoni loro “giusta”; ma vista l’assenza di una famiglia e di genitori, è più facile che lo decidano autonomamente non appena sviluppano il senso di identità o qualcuno non glielo dia, vedendolo per la prima volta, e loro finiscano per adottarlo. I Figli delle Statue scelgono di affiancare a questo nome la loro origine (ad esempio l’Oracolo Rana’Hid delle Sabbie Dorate); se per gli umani questo può sembrare un adattamento dall’aspetto talvolta esotico del canone idomeano, in realtà questo denominativo ha lo scopo di fornire ad altri jin una sorta di chiave di lettura che superi le barriere che la comunicazione verbale (tutt’altro che uniforme fra un jin e l’altro causa biologia diversa) talvolta pone.
Convenzioni extra-continentali Atea è vasta, si è già detto ripetutamente, e non sempre la cultura si espande realmente dappertutto. Talvolta certe razze e comunità rimangono perlopiù segregate dal resto del continente, e questo vale doppiamente per casi come l’Eiland che è fisicamente separata, e che solo in tempi più recenti ha visto insediamenti veri e propri e contatti con le popolazioni indigene. Gli inumani presenti sono creature al limite del civile e dotate certamente di proprie lingue ma non sempre linguaggi, all’infuori della lingua comune che si è diffusa con i primi esploratori; lo stesso concetto di nome proprio varia da una tribù all’altra, e da alcuni è considerato addirittura inutile. Molto spesso ottengono nomi e soprannomi conferiti da altri, e li conservano come tesoro dell’incontro o come barlume di speranza in momenti difficili in un continente che non potrà mai essere la loro casa.
Altro contesto culturale anomalo sono gli orrori: si sa ancora troppo poco di loro, visto che la loro dimora si trova nelle profondità della terra e la stessa lingua da loro parlata è carica di potere arcano. Con i suoi caratteri collegati dal “secondo strato” tipico dell’alfabeto e le intonazioni ingannevoli che ne derivano, è difficile separare il nome dal resto della matassa che lega come un orrore si presenta rispetto agli altri. Gli studiosi più accaniti sono convinti che, nonostante la lingua accomuni effettivamente buona parte degli orrori, non ci sia una convenzione onomastica condivisa. Talvolta il nome è associato ad un concetto che esprima il loro pensiero e il loro, a volte è scelto per vezzo e altre volte cambia con il mutare degli anni e delle stagioni. Una tendenza marginalmente più diffusa fra le testimonianze riportate sia proprio la mutevolezza del nome, che può essere dotato di un nucleo di una o due sillabe a cui si accompagna un aggettivo che può mutare a seconda del contesto o dello stato d’umore del parlante (come ad esempio Samākayeva, Yeva il sorridente, e Yevamariya, Yeva il rispettoso).
Ultimo caso speciale è dato dagli abissali, nuovamente a causa della lingua fuori dall’ordinario: la loro lingua è impossibile, senza magia o apparecchiature complesse, da replicare fuori dell’acqua. Questo rende difficile agli abissali emersi di comunicare i loro nomi secondo i suoni esatti, trasformando i loro tentativi in goffi versi. Pur contro la propria volontà, al fine di integrarsi è comune necessità di questa razza adottare un nome di superficie. I primi ambasciatori che hanno stipulato gli accordi con l’Alleanza di Wye a seguito dell’inabissamento di Loralbuer stabilirono come formato onomastico un sistema composto da un nome proprio, un onorifico in caso di titoli nobiliari (saf-), ambasciatori (un-) o appartenenza alla casta guerriera (ti-) da inserire davanti al nome proprio (quindi un ambasciatore si chiamerebbe Un-Vakh) e un nome arbitrario che rappresenti la propria famiglia, che dovrà poi essere adottata dal resto dei propri consanguinei per riconoscerne l’appartenenza nei sistemi burocratici. Questa convenzione è in realtà osservata solo da chi fa parte delle caste superiori, trattati meglio in virtù di rapporti commerciali e diplomatici, e ai più umili che entrano nei territori dell’Alleanza viene spesso invece imposta la matricola civile; altri che si sono distaccati dai rapporti con Iris e con questi contatti con i regni umani, come il nuovo ordine dei Mirari, hanno invece adottato proprie regole o hanno imitato quelle offerte da contatti con altre culture. Edited by ~Coldest.Heaven - 7/3/2020, 22:01
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