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[Basilea] Virtù nel sangue

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view post Posted on 8/12/2019, 01:38
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(15 anni prima...)

Alma si destò con uno scossone.

Al breve intontimento del risveglio, gradualmente, si sostituì poi una sorda sensazione di dolore. Battè le ciglia un paio di volte, poi tentando di muovere le braccia realizzò: era caduta dal letto. Sfilò da sotto il fianco schiacciato a terra il braccio destro, e se lo massaggiò per un po' guardandosi attorno.

Era notte fonda, e la camera in cui dormiva era gettata in un'oscurità solo rotta da una lama di luce, proiettata dalla luna piena poco fuori. Fu con trepidanza che la osservò più da vicino, alzandosi e scostando i lembi delle tende, e con un sospiro di sollievo constatò che non era macchiata di sangue. Le strade non andavano a fuoco, nè la voce di Stahjan rimbombava facendo tremare le finestre.
Era stato solo un brutto sogno.

Si strofinò gli occhi, ma nonostante fossero lucidi non aveva versato alcuna lacrima: a cinque anni, ormai la piccola principessa aveva imparato a smettere di piangere quando si faceva male. Una regina doveva saper mostrare un volto forte, le aveva raccomandato la mamma, specialmente quando non era sola: il compito delle regine era di infondere gioia, orgoglio e speranza nei loro sudditi e in coloro che le circondavano; proprio come le coperte quando senti freddo aveva aggiunto con un sorriso - e Alma aveva annuito, tirando su col naso e tentando di imitarla. Col tempo, le lacrime avevano smesso di uscire. Il petto però quella notte le faceva male, come se una mano enorme volesse stringerla: poggiò la mano sul morbido cuscino e vi affondò le dita, poi il viso - fece quello che Nike le aveva insegnato: smise di respirare e contò fino a dieci.

Quando il suo viso stravolto riemerse in una matassa di capelli disordinati
- una balla di fieno, avrebbe detto Elise sospirando e prendendo un pettine -
non si sentì meglio. Si sentiva ancora soffocare, e per diversi minuti rimase ad occhi chiusi senza riuscire a riprendere sonno. Un turbinare di immagini confuso prendeva vita nella sua mente, scompigliandola e generando nuovi mostri.

Alla fine balzò nuovamente fuori dalle coperte e quasi se ne pentì: l'aria pungente della notte tornò ad assalirla quasi subito, strappandole un brivido. Rovistò nella cassa ai piedi del letto e tirò fuori un mantello d'ermellino per coprirsi le spalle - avrebbe potuto infagottarsi completamente per quanto era grande - e la poggiò sopra la vestaglia sottile, per poi uscire cautamente dalla stanza.

I corridoi erano persino più gelidi, con correnti provenienti da alcune feritoie e finestre ad arco che davano al di fuori della torre della principessa; il castello dormiva tranquillo, almeno nella quiete che Idomea riusciva a concedersi visto l'andamento tumultuoso del conflitto. Guardò a destra, poi a sinistra, quindi uscì del tutto accompagnando la porta con la dovuta cautela - mettendosi in punta di piedi per raggingere la grande maniglia a forma di mezzaluna.

Nike le aveva rivelato dell'esistenza dei corridoi nascosti all'interno del castello: specifici punti dove le pietre delle mura si appiattivano e diventavano finte, fogli incantati che solo parevano parte delle pareti. Dietro di loro giacevano delle piccole porticine scorrevoli di legno, grandi abbastanza perchè un uomo privo di armatura potesse entrarci e nulla più; da lì, seguendo dei corridoi strettissimi, si poteva arrivare in altre sale del castello indisturbati. Nike glieli aveva mostrati per gioco, e avevano passato il pomeriggio a fare scherzi alle guardie ignare, ma il suo viso era divenuto serissimo quando le aveva detto di non usarli mai senza lei.

Alma non le aveva chiesto perchè, si era limitata ad annuire - eppure quella notte la piccola sentiva di dover fuggire dalla stanza, da quel castello troppo piccolo per poter contenere la sua paura dei sogni. Nike si sarebbe arrabbiata se lo fosse venuto a sapere, ma non se la sarebbe presa se lei non avesse aperto bocca. E così le piccole dita, non senza un po' di difficoltà, scostarono il pannello finto e incurvandosi appena per entrare si addentrò nel corridoio di legno.

(...)

Si era persa. Era convinta di aver seguito gli stessi passaggi che Nike aveva seguito ogni volta, quelli che portavano all'armeria e alle caserme o quello che, appena usciti, inondava di profumi di spezie e carne salata: le cucine erano il suo posto preferito, e l'assistente cuoco una volta aveva colto in fragrante le due ragazze intruse - ma dopo un'occhiata e un per favore di Nike questi era arrossito e si era portato un indice alla bocca lasciandole stare.

Però no: con il solo bagliore esterno delle torce che trapelava da minuscole fessure, inghiottita dall'oscurità e da sola, Alma si era persa. Tentò di ritrovare la strada indietro,
ma ormai il dedalo l'aveva inghiottita.

Più volte la paura le fece salire la tentazione di urlare aiuto, aspettare che qualcuno trovasse un pannello e scoprisse la porticina di legno e seguisse la voce - ma non poteva. Immediatamente dopo averle detto di non usarle mai da sola, Nike si era abbassata al suo livello e le aveva poggiato le mani sulle spalle. Non dire a nessuno, assolutamente nessuno, di loro. I suoi occhi severissimi erano piantati nei suoi, come per farglieli ricordare ogni volta che le passasse per la testa di trasgredirli. Questi passati segreti dovevano rimanere segreti. E se avesse chiesto aiuto, qualcuno avrebbe potuto dirlo a Nike - lei sapeva tutto quello che succedeva nel castello - e non lo voleva assolutamente. Avrebbe potuto passare i guai, e farli passare anche all'amica.

Ad un certo punto, stanca e i piedi doloranti, si accovacciò per terra con la schiena al muro; congiunse le dita e dopo aver inspirato tremante pregò, bisbigliando, Eiua. Le chiese scusa per le volte che aveva fatto arrabbiare la mamma, per le volte che non aveva voluto ripetere le preghiere nella cappella, per quando cercava attenzioni quando il padre parlava con Stahjan - e così via, fino a sentire il petto esplodere dal dolore. Chiese scusa anche per la lacrima che era sfuggita e stava rotolando lungo la guancia. Sollevò il capo e fece per asciugarsela, quando una luce arancione sfuggente - una fiaccola portata da una sentinella che faceva la ronda, a giudicare dal tintinnare meccanico - illuminò per un brevissimo istante la parete di fronte a lei. La sagoma lignea di un incavo familiare divenne visibile per un breve momento, quasi strappandole uno squittio di felicità; senza riflettere vi infilò la mano per far scorrere la porticina, quindi spinse via il pannello e ruzzolò fuori nella nuova sala.

Come il resto del castello, questa era gettata nell'oscurità più assoluta. Questa volta però l'oscurità non era supportata da nessuna torcia o finestrina verso l'esterno, tanto che la piccola non riusciva nemmeno più a vedere le sue mani, nè il mantello d'ermellino che era caduto mentre usciva. La sala doveva essere gigantesca, come suggerito dall'eco profonda dello scatto prodotto dalla porticina, e il gelo tornò a permearle la pelle tornando a farla tremare. Poi, una brezza tiepida - e un suono in lontananza, sordo e cupo. Un'altra brezza, e nuovamente quel suono. Le ricordò il papà quando russava.

«C-c'è nessuno?» chiese tentando di suonare autoritaria come la mamma,
e ascoltò il suo eco ripetersi a lungo fino a spegnersi. Proprio quando si convinse di essere sola, l'oscurità si mosse e il clangore di catene la assordò.


Scivolò fuori dal passaggio con uno scatto agile, frutto di anni e anni di pratica nell'infilarsi in quelle porticine nascoste del castello. Scrollandosi un batuffolo di polvere dalle vesti pratiche, regalate da Nike per le sue "avventure", Alma si riavviò all'indietro i capelli con un gesto lento e mesto. Ad accogliere il suo arrivo, il tipico suono metallico riecheggiante ruppe l'aria e la investì assieme ad un fiato caloroso proveniente dal fondo della stanza. Involontariamente, con la lentezza di un fiore che germoglia, si disegnò un sorriso sul volto ingrigito della ragazza.

«Sì, sì...hai ragione. È tanto che non vengo a visitarti.
È stato...un periodo difficile.
»

Si avvicinò all'oscurità, sentendo il calore del respiro divenire sempre più forte, e raggiunta la fonte spalancò le braccia e appoggiò il capo sul muso gigantesco della creatura, accarezzando le squame rade e fermandosi ogni volta che avvertiva il freddo del pesante metallo del collare che lo incatenava al muro.

«Mi sei mancato anche tu, Dubhàn.»

virt

BASILEA
VIRTÙ NEL SANGUE

(qualche mese prima...)

Era cresciuta tanto rispetto alla prima volta che si erano incontrati, eppure l'impressione che all'epoca il drago nero le aveva lasciato, di una creatura nata dalle tenebre della stanza fino a riempirla con la sua colossale stazza, era da tempo svanita. Era cresciuta, sì, ma lui in confronto non era cresciuta assieme a lui: pareva anzi essersi rimpicciolito.

La ragazza, ormai praticamente donna, guardò malinconica Dubhàn: era un drago di dimensioni non certo indifferenti, ad una rapida occhiata non poteva esser lungo meno di una dozzina di metri e passa - quanto bastava per mangiarla in un solo boccone se avesse potuto.
Se avesse voluto.

Ma il drago rinchiuso nelle segrete di Idomea era speciale, perchè non poteva aver visto la luce del sole più di tre-quattro volte nella sua vita: i suoi occhi si erano gradualmente abituati all'ombra sino allo spegnersi, divenendo in grado di riconoscere le anomalie nella prigione attraverso gli altri sensi. Ma soprattutto, era vissuto in catene: i segni sulle - e sotto le - scaglie davano mostra di vecchie cicatrici e tanti altri marchi a fuoco. Da piccola aveva immaginato che quando gli "uomini cattivi" venivano catturati venivano mandati come punizione a venir mangiati del drago, e quelle fossero ferite degli scontri con feroci banditi. Quando aveva indagato con l'aiuto della prima paladina, aveva scoperto però con orrore che si trattava di segni di tortura.

Tortura orientata all'impartire la più assoluta obbedienza,
obbedienza per quando sarebbe arrivata la sua ora.

«Risparmiami il broncio.» Picchiettò la mano vicino la gran narice, strappandogli uno sbuffo.
«Te l'ho detto, è un momento...»

difficile.

Non riuscì a ripetersi del tutto. La gola gli si strinse e il consueto dolore al petto la portò a portarsi la mano all'altezza del cuore - come per implorare a qualunque mano invisibile lo stesse strizzando di smetterla. Il suo respiro corto venne immediatamente notato dal drago, che smosse il muso e lo strisciò dolcemente contro la schiena di Alma grattandola appena. Dubhàn non condivideva il dono dell'intelletto degli altri draghi: le torture e la prigionia gliel'avevano portato via, assieme probabilmente a qualunque ricordo del suo passato. Tutt'ora non lo ricordava. Ma in presenza della ragazza qualcosa guizzava nei suoi occhi ciechi, e improvvisamente la grande bestia reagiva in accordo.

«Hanno detto che...devo prepararmi.» La mano che apre la porta della sua camera, la gran sacerdotessa che dice che è arrivato il momento. Altre parole che scivolano nelle sue orecchie mentre finge attenzione. «Mia madre...sta per andarsene. Per lasciarci.» Le dita si strinsero, il pugno andò a strofinarsi il viso - ma esita per un attimo, lasciando che le lacrime scivolino. Che lo possano fare ancora una volta, come lo avevano fatto ripetutamente in quelle profondità nei lunghi anni in cui era tornata per far visita al drago. «Non è giusto.» Mormorò con un filo di voce guardando con la vista appannata le grandi iridi prive di pupilla, due zaffiri lucidi. Davanti a quei occhi aveva confessato ciò che nelle mura del castello non avrebbe mai potuto dire, versato le lacrime che mai avrebbero dovuto bagnare il suo viso, mostrato gesti e oggetti che mai avrebbero dovuto trovar posto nelle sue mani da principessa.

Ancora per poco.

«Dovrò...dovrò farlo, capisci?»
un flauto rotto, fastidiosamente acuta anche solo alle sue orecchie.
«Io non...io non voglio.»
Ma la cerimonia lo richiedeva. Deglutì a fatica.
«Però...ora tocca a me. È il mio compito. E non fuggirò più.»
Se solo quella lontana fredda notte non si fossero conosciuti...

Il drago iniziò ad emettere un verso roco e basso, acciambellando il collo attorno a lei. Non farlo. Comprendeva davvero cosa stava dicendo? Aveva mai capito cosa significava quello che aveva scoperto, sette anni prima, sullo scopo della sua prigionia? E sul destino che avrebbero dovuto fronteggiare? Non ti importa che ti tradirei? Tradirei tutto ciò che sei stato per me? Una volta quel suono l'aveva terrorizzata, poi man mano aveva imparato a trovarlo di conforto. E Dubhàn l'aveva notato.

Controvoglia, si abbandonò alla parte di sotto del collo, più morbida e priva di scaglie, e chiuse gli occhi come mille volte prima. Continuò a piangere, finchè il sonno non colse entrambi.


immagine

(data odierna)

Quel giorno Idomea era agghindata a festa. Non però una festa come le sagre del paese, nè l'arrivo del circo o galà per il matrimonio di chissà qual nobile giunto da terre lontane, desideroso di guardare la capitale culla dell'umanità con l'interesse che si potrebbe provare verso un animale esotico in una gabbia. Una festa solenne.

Come un fiume, le strade erano in piena: uomini e donne di ogni dove e classe inondavano i ciottoli delle strade principali. Era una città più vispa e caotica degli altri giorni, e l'ultimo mese non era stato altro che un crescendo di attività culminato la settimana precedente. Tutto per un evento che non si teneva da sostanzialmente metà secolo, qualcosa che alcuni più di altri avevano a lungo atteso. Stendardi bianchi con il drago infilzato dalla spada scarlatta sventolavano sulle cime battute dai tiepidi venti autunnali, portando di tanto in tanto foglie secche e fragranze dai quartieri circostanti. Festoni a unire due lati di una strada, come a fornire un tetto sotto cui i viandanti passavano; bancarelle per il cibo di chi aveva camminato a lungo, chincaglierie pacchiane per adornarsi in vista dell'occasione, musica dai bardi per infervorare le folle già eccitate e guadagnarsi qualche soldo. Era un tripudio di suoni, odori e colori. Come poteva il giorno dell'incoronazione di Alma Eosfilia non avere così tanto pathos, in una terra così martoriata? I mosaici e i ciottolati sembravano sgorgare di rosso, con la via che portava al Ponte delle Sorelle completamente ricoperta di petali scarlatti.

Non c'era quasi spazio per le carrozze per le strade, e man mano che ci si avvicinava alla struttura dove si sarebbe tenuta la cerimonia diveniva sempre più palese che l'unica maniera per accaparrarsi il posto era farsi largo a piedi. La folla confluiva verso un unico punto: il Solco di Sigerico. Per gli studiosi della storia idomeana, come i membri del clero, o semplicemente i più dotti, questo era un nome carico di importanza: avrebbero ricordato l'uomo che aveva passato la vita al fianco di Eos quale primo re e comandante delle crociate, che liberarono dai draghi le regioni adiacenti a quello che sarebbe divenuto il primo nucleo del regno di Idomea. Si diceva che il re e la regina sognassero le storie di tempi antichi e di eroi coraggiosi, racconti tramandati oralmente o per iscritto per secoli, e che per secoli avevano tenuto viva l'immaginazione e la speranza degli abitanti di Magdala. Fu per volere del re, per consolare Eos, che venne costruito un grandioso anfiteatro: una struttura scavata nella terra e che ad ogni anello di spalti scendeva, per poi concludersi con un ampio spiazzo a forma ellittica. Gli artisti inscenavano così i racconti e tessevano trame e cantavano lodi per compiacere i sovrani, e col passare degli anni anche le regine successive mantennero la tradizione - anche quando il conflitto con l'Alleanza bussava insistente alle porte. Ma il Solco aveva anche una funzione speciale, che quel giorno avrebbe avuto modo di adempiere nuovamente.

I primi arrivati si fregavano le mani eccitati, felici di non essersi perso l'evento, gongolando del posto preso in tempo. Non che nell'anfiteatro mancasse lo spazio: il Solco sarebbe stato in grado di facilmente ospitare un terzo della popolazione della città e dei dintorni. Gli spalti più vicini erano, chiaramente, destinati agli invitati: i membri del senato e i rappresentanti delle potenze di tutta Atea, tutti quelli che avevano accettato l'invito perlomeno degnandoli - se non della loro presenza - almeno di una piccola ambasciata. Alla base, nello spiazzo, avevano eretto un vasto palco, alle cui spalle - ne punto dove l'anello di spalti si interrompeva - si stagliavano due porte massicce. Sul palco alcuni funzionari si stavano consultando reggendo lunghi papiri e sbarrando righe man mano che persone giungevano e preparazioni venivano portate a termine, mentre sopra di loro man mano i posti stavano venendo riempiti dalla gente.

A mezzogiorno preciso, sarebbe scoccata l'ora. E con uno schiarirsi di voce magicamente ampliato, la gran sacerdotessa Tama avrebbe dato inizio alla cerimonia.



gideon-icon
PdV: ALMA EOSFILIA, principessa
QM POINT:
Benvenuti alla prima quest aperta su Moontide, che sarà dedicata all'incoronazione della nuova regina. Per chi si fosse perso la giocata di prologo, potrà leggerla seguendo il link di [Passaggio di Testimone], ambientato qualche mese prima degli eventi correnti. Chi è nel mezzo di giocate di arrivo o di introduzione può tranquillamente scegliere se collocare queste giocate prima o dopo Virtù nel Sangue, con l'eccezione di personaggi che si uniscono al regno di Idomea - che dovranno invece necessariamente sceglierlo in conformità a se Elise Eosfilia, precedente regina, era viva o meno.

Il segmento finale del post vi illustra lo stato attuale di Idomea, affollata e ricca di vita come non mai da tanti anni, se non decenni. Sarà possibile trovare gente di ogni razza e affiliazione (non aspettatevi certamente esponenti dei Gerfalchi o dei Mangiasegreti sugli spalti, certo) e gli inviti alla cerimonia sono stati dati esclusivamente agli esponenti delle altre fazioni e pochi altri individui che hanno prestato servizio alla corona. La cerimonia è tuttavia accessibile anche da chi non è stato formalmente invitato, e rimane visibile anche dagli spalti più alti del Solco di Sigerico, una struttura non dissimile ad un anfiteatro massiccio che invece di stagliarsi verso l'alto è invece scavato nella pietra andando sempre più in basso per diversi anelli, prima di giungere allo spalto al suo centro nel quale potete scorgere qualche figura appartenente al clero. Di principessa e altre figure di potere non descritte da me (o da interventi successivi di Snek) non c'è ancora traccia, non almeno per il momento che siete portati a descrivere.

Nel post avete quasi totale libertà di fare quello che volete, interagendo fra di voi o con PNG da voi inventati, descrivendo il vostro arrivo e/o ingresso nell'anfiteatro. Il post potrà arrivare massimo fino al momento in cui la gran sacerdotessa prenderà parola. Se avete dubbi o avete bisogno di approfondimenti, vi rimando al topic di discussione [Virtù nel sangue]. La quest passerà al prossimo turno il 15 Dicembre.

Ne approfitto per ricordare che ci si può inserire nell'evento ad ogni momento della giocata. Buon lavoro!
 
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view post Posted on 16/12/2019, 21:27
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Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.

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Mancava ancora molto a mezzogiorno ma il Solco di Sigerico si stava riempiendo rapidamente. Davorin si mosse senza troppe cerimonie tra la folla che si accalcava sperando di raggiungere i posti migliori, quelli più vicini a tutte le donne e gli uomini che invece erano stati invitati dalla Corte e avrebbero assistito all'evento a pochi passi dal palco. Aveva attraversato la città in festa, ma i colori e gli odori di Idomea -quasi ripetitivi in ogni via- non erano neppure paragonabili a quelli di Sidonia; sbuffò evidentemente innervosito da un qualcosa che non espresse in altro modo, ma un vecchietto schiacciato tra le persone non mancò di farglielo notare.
Giovanotto, nessuno ti obbliga a partecipare. Anzi, visto quanto sei grosso forse faresti un favore a qualcuno se tornassi a casa, posti in più per noi.
Davorin lo guardò torvo, squadrandolo: piegato dagli anni su un bastone che teneva con entrambe le mani, rugoso come se fosse stato seccato al sole ma la pelle pallida quanto i radi capelli; indossava una casacca che arrivava fino alle ginocchia lasciando scoperte le caviglie fragili e la pelle cadente sotto le braccia. Il Trannyth alzò gli occhi al cielo, l'ultima cosa che voleva era dar corda a un vecchio con qualche rotella in meno.
Ma probabilmente sei un cane di Alma, e non vedi l'ora di vederla con quella corona in testa.
Sputò per terra, e seppur tutti quelli che l'avevano sentito ora lo guardavano come volessero ammazzarlo lì sul posto, lo sguardo di Davorin si fece curioso. Tamburellava con le dita sull'elsa di Selene, un vizio che metteva a disagio tanta gente.
Sono solo uno che si impiccia molto quando nei paraggi c'è qualcuno di importante, non giudico la principessa per qualcosa che non ha ancora fatto.
Il vecchio ridacchiò tossendo.
E c'è bisogno di aspettare?! Pensi che potrà essere come la Regina Elise? Ha vissuto nella sua ombra e abbiamo già capito che non sarà mai così forte! Non ha a cuore la libertà di Idomea e del suo popolo, è pronta ad alzarsi lo sottana davanti a Wye.
Bada alle tue parole, vecchio. È della principessa Alma Eosfilia che stai parlando!
Grugnì un tizio grosso quanto Davorin, con almeno dieci anni di più e una grossa cicatrice che gli attraversava il volto sul lato sinistro, dalla fronte fino al collo. Indossava un bel completo nero, con un mantello dello stesso colore che lasciava solamente intravedere un astuccio per coltelli portato a tracolla con le armi nascoste dietro la schiena.
Pensi che ho paura di te, ragazzino? Ho visto quello che ho visto, e dico quello che voglio. Fammi arrestare o ammazzami, non cambia il fatto che i campi di Caltrisia bruciano ancora, e la testa del Bianco non è su una picca! Non lo sarà mai con Alma sul trono.
Al sentir nominare Lathi un brivido corse lungo la schiena di Davorin che decise di non intromettersi nella discussione, cercando di capire quale fosse il problema. La fila si muoveva lenta e inesorabile mentre le persone sciamavano all'interno del Solco, il vociare che saliva dalla profonda fossa era già assordante ma tutti sapevano che appena iniziata la cerimonia sarebbe calato un silenzio quasi inquietante visto il numero dei presenti. Erano tutti lì per un evento che pochi avevano già vissuto, e che pochi avrebbero visto nuovamente.
È una macchia nella nostra Storia, tutta quella gente massacrata non va dimenticata, ma vendicata! Padri, madri e figli, fratelli e amici ridotti in brandelli da Wye.
Tutti, stretti l'uno contro l'altro, ora avevano gli occhi puntati sul vecchio ma visto l'aspetto minaccioso dell'energumeno con la cicatrice nessuno osava fiatare, nemmeno per schierarsi dalla sua parte.
A Wye ci sono padri e madri e figli come a Idomea. Da troppo tempo siamo in guerra, troppi uomini sono morti, è ora che qualcuno dica basta.
Il tono calmo degno dei migliori ambasciatori.
Non significherebbe dimenticare i nostri morti, ma onorare il loro riposo nell'Oltre, evitando la stessa sofferenza a chi è ancora qui. Lathi non avrà il nostro perdono, ma la nostra indifferenza, e quello che a te può sembrare un passo indietro in realtà dimostrerà la superiorità di Idomea.
In tutta risposta il vecchio sputò nuovamente a terra, a mezzo centimetro dai piedi dell'uomo. Nessuno disse più niente in merito, i due nemmeno si guardarono negli occhi e Davorin evitò di mettere paglia sul fuoco.
Entrarono, e i tre si divisero tentando di raggiungere settori diversi.

Cosa ne pensi? Alma potrebbe veramente non essere la regina adatta?
Il Trannyth per qualche secondo ignorò la domanda di Azazel, scendendo gli scalini alla ricerca di un posto il più vicino possibile al palco su cui già qualcuno si stava affaccendando.
In realtà la cosa non mi tocca. Sediamoci e sentiamo cos'ha da dire la principessa, siamo qui perché Idomea è stata la nostra casa per tanto tempo, e in fondo lo è ancora.
Gli rispose telepaticamente; si sedette a non molte file dai posti riservati, sfruttando l'attimo di distrazione di un grasso e unto omaccione alzatosi per inseguire il tipo che vendeva pannocchie per cinque Corone di rame.
Una pace con Wye non è così scontata, e comunque non cambierebbe il fatto che il Bianco, prima o poi, morirà. Godiamoci la cerimonia, dubito si parlerà di politica oggi.
Incrociò le braccia sul petto scorrendo lo sguardo sui membri di spicco presenti sugli spalti, fermandosi poi su ciò che succedeva sul palco. Ormai mancava poco a mezzogiorno.

...

Eccola, è Tama, la Gran Sacerdotessa. Inizia.

 
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view post Posted on 17/12/2019, 22:29
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Continua da
Stagioni

    Ren-Jacque, con la sua stazza estremamente ingombrante, occupava entrambi i posti di un lato della piccola diligenza, quello rivolto verso il senso di marcia. Di fronte a lui, l'uno accanto all'altra ma sul bordo più esterno dei loro posti, come se entrambi volessero rimanere il più possibile distanti, sedevano una donna e un uomo. Lo sguardo del governatore si alternava con la costanza di un pendolo tra lei, una giovane ragazza dai capelli raccolti che indossava un abito pregiato tipico di Eragasta, e lui, un energumeno dalla pelle scura e dai capelli brizzolati, con braccia nude e muscolose.
    L'uomo aveva una cassetta di legno posata sulle ginocchia. Era bassa e ampia, di forma rettangolare e finemente decorata da complessi intarsi di un legno più scuro. Era sigillata e legata con una grossa catena dorata al suo cinturone. Egli indossava una stramba armatura di placche scure che lo ricopriva solo parzialmente; in pochi la avrebbero riconosciuta come tipica della zona costiera del Fidarus occidentale. Teneva il preziosissimo contenitore tra le mani ma il suo sguardo severo restava fisso fuori dalla finestrella e si perdeva a osservare la strada polverosa che il carro si lasciava pigramente alle spalle. La donna invece si limitava a guardarsi i piedi, perfettamente immobile, e teneva entrambi i palmi sul grembo.
    «Sono lieto che questa trasferta sia toccata proprio a noi. La situazione a Eragasta è così... scocciante, sì, scocciante. Qualcun altro si occuperà delle matasse ingarbugliate. Che meraviglia!»
    Il suo tono era estremamente gioviale e il sorriso pareva sincero, tuttavia una strana luce negli occhietti scuri avrebbe insospettito chiunque. Nella penombra della cabina essi erano spalancati e immobili, quasi vuoti. Ren-Jacque non sbatteva le palpebre. Mai. Nessuno dei due passeggeri osava incrociarli. Nel frattempo, con una regolarità sbalorditiva, egli infilava la mano in un sacchetto, tirava fuori da esso un dattero e lo metteva in bocca intero. Finiva di masticarlo dopo qualche minuto e nella stessa maniera ne metteva in bocca un altro.
    Dopo un'altra ora di viaggio in silenzio la diligenza passò su di una buca e la cabina sussultò.
    «Caro, fai attenzione a quella cassetta. Ciò che contiene vale più della tua vita.»
    Il suo tono era quello di un padre misericordioso. Anche il fidarusiano sorrise, come Ren-Jacque. Quello poi si sporse e posò la grossa mano sulla coscia della ragazza.
    «Siamo quasi arrivati, splendore.»
    La donna ricambiò lo sguardo, sfoderando un'espressione gelida e impassibile. Tuttavia non si discostò. Anche l'uomo fece finta di niente. In quella circostanza erano entrambi come ostaggi di Ren-Jacque, per certi versi persino impotenti davanti al suo volere, ma entrambi parevano intenti a incidere tutte quelle parole e quei gesti nella memoria.
    Ren-Jacque, compiaciuto, picchiò con le nocche sul soffitto della cabina. A quel segnale i due cocchieri spronarono i cavalli.

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    La piccola ambasciata eragastiana giunse a Idomea il giorno stesso dell'incoronazione, giusto poche ore dopo l'alba. Il gruppo non indugiò in distrazioni, nonostante la città ne offrisse in quantità più che generose, e si diresse verso il Solco con due ore di anticipo al mezzogiorno. Nel passare tra i grandi palazzi scarlatti della città antica, Ren-Jacque si sentì inebriato dalla Storia che in quel luogo si stava scrivendo. Era conscio di ricoprire una responsabilità epocale per Eragasta e pronto a lasciare anche lui un piccolo segno in quel giorno di giubilo. Le sue mani sudavano al solo pensiero di poter presenziare all'incoronazione: una sensazione di fermento che i suoi compagni di viaggio non potevano nemmeno comprendere.
    Presero posto nella parte a loro destinata, sugli spalti dell'anello inferiore appena alle spalle delle seggiole riservate a senatori e ambasciatori di massima importanza. Ren-Jacque portò i suoi omaggi e quelli della città a dozzine e dozzine di persone, tra delegati stranieri e personalità di spicco. Eragasta non aveva infatti nessun tipo di rappresentanza permanente presso il Regno—quello era il problema del governo e quella la sua missione.
    Terminate le doverose cerimonie, finalmente si sedette. La sua mole enorme, avvolta da vestiti variopinti e di pregiatissima fattura, si poteva distinguere anche da molto lontano. Il fidarusiano si mise alla sua destra e la ragazza alla sua sinistra. Chiudevano il quadretto, una per lato, le due guardie eragastiane con la tunica blu zaffiro. Il governatore aveva studiato e programmato, così come ogni altro dettaglio della sua missione a Idomea, anche a quella armoniosa composizione.
    A pochi minuti a mezzogiorno, per assicurarsi che le cose andassero nella maniera giusta, Ren-Jacque si limitò a scambiare degli sguardi con i suoi accompagnatori. I suoi occhi erano ridotti a due fessure gioviali e il sorriso enorme avrebbe ispirato simpatia e fiducia a chiunque. Ma quella sua gioia, per una volta, era sincera.
 
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view post Posted on 18/12/2019, 03:51
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I vasi della signora Lana hanno sgocciolato di nuovo sul mio bucato... Che Eiua mi abbia in grazia se la prossima volta che la incrocio non le schiaffo via dalla faccia quel suo solito sorriso da finta tonta! Vent’anni! Vent’anni che le urlo dietro che quelle sue petunie mezze secche se le deve tenere dentro casa! Aaah... avessi ancora l’età... Metà dei miei problemi li avrei già risolti...
Ma tu, caro mio, che ne sai...? Che t’importa a te dei problemi nostri, ormai? Eh, fortunello... E da dodici anni che te ne stai lì ritto a ghignare di noi quaggiù, con quella faccia da merluzzo rattrappito. Spero che la Santerella ti faccia sgobbare, lì dove ti trovi, perché di magagne da sistemare ce ne sono. Fin troppe ce ne sono! Tuo figlio è venuto a trovarti con la Mirna ieri l’altro: sei andato a fargli visita, vero? Guarda che poi glielo chiedo!
E nostro nipote?! Vai pure da lui, eh! Anche se non se lo merita, quell’ingrato fannullone... Sempre dietro a quella sciacquetta di Clarice. Quella della taverna! Essì che te la ricordi: la figlia dei Belerin, che hanno la casa sulla forra. Oh, l’ha rimbambito... Manco si ricorda più che razza di faina era da piccola! Lo dissanguerà come un vitello, poveraccio...


ARObmke
La voce arrochita della vecchia Zenea si poteva sentire distintamente persino dalla sommità delle scale che portavano alla cripta, tanto era l’accaloramento con cui sempre rimbrottava alle povere spoglie del marito i suoi doveri da morto.
Roselia Chanes se ne stava appiccicata all’uscio, con una mano appoggiata allo stipite del massiccio portone di legno dell’ipogeo, e l’altra che si sforzava di stringere contro il fianco stropicciato del grembiule la cesta colma di ceci, pomodori e uova che si faceva sempre più pesante ogni minuto che passava. Era una ragazzina di sedici anni, piccola di statura, i lunghi capelli bruni legati da un nastro di cotone bianco e un viso da bambina su cui spiccavano due vispi occhietti verdi affilati che, come la sua amica Setha diceva sempre per pizzicarla, ricordavano quelli di un folletto. Si sporgeva verso l’interno della porta, tendendo l’orecchio verso il fondo della ripida scaletta illuminata dalla tremolante luce del gran numero di candele bianche mezze sciolte, poggiate sugli scalini. Stava attenta a non fare alcun rumore, nonostante sapesse bene che dalla sua posizione era impossibile essere scorta dall’interno, e l’anziana donna era sorda al punto da sentirla a malapena anche se l’avesse chiamata a gran voce. Di tanto in tanto si premurava di gettare un’occhiata in direzione della strada principale per assicurarsi che nessuno la vedesse, stringendosi nell’ombra di quel vicolo sul retro di casa sua: una corta stradina di acciottolato chiusa tra due muri intonacati e senza finestre che andava terminare cieca proprio a ridosso della parete della montagna.
A quell’ora probabilmente tutti gli abitanti del quartiere di Forra Grava erano a casa a preparare la cena. Le strade erano deserte e gli unici suoni che rumoreggiavano erano i sommessi mormorii e il tintinnare di stoviglie che provenivano dalle finestre delle case e lo sferragliare di carri in lontananza dal quartiere commerciale, che si trovava a un paio di isolati da lì. Ma se per pura sfortuna si fosse venuto a sapere che la figlia dei Chanes origliava i discorsi dei loro stessi devoti e benefattori, l’onta sarebbe stata particolarmente grave... e i suoi genitori non gliel’avrebbero fatta passar liscia.
Non che fosse una pettegola: saper mantenere i segreti era una prerogativa per la famiglia Chanes. Ma era impressionante quante cose la gente confidasse ai defunti.

La Cripta della Santerella era un luogo singolare, dove i vivi incontravano i morti. Ma non di fronte fredde lapidi o sarcofagi ornati da epitaffi mezzi erosi; in quell’ipogeo dall’ingresso particolarmente anonimo, un vecchio magazzino scavato nel fianco della montagna, acquisito quasi un secolo addietro dal bisnonno di Roselia, il dottor Flizgard Chanes, i defunti accoglievano i visitatori ritti in piedi, vestiti dei loro abiti migliori, scrutandoli dalle loro orbite cavernose e da sotto le palpebre avvizzite. Dimoravano laggiù, immobili ancorati alle pareti con un’umile targa di legno appesa al petto su cui era riportata la loro identità e la loro data di nascita e di dipartita, pietrificati nei secoli come macabre effigi in memoria di loro stessi.

Come la vecchia Zenea, che ogni santa sera veniva per incontrare il marito, c’era la signora Magritta, donna Rubinia, donna Conticia e la lavandaia che abitava vicino alle terme sulla forra, di cui Roselia non ricordava mai il nome, che visitavano regolarmente i loro figli perduti, alcuni per l’influenza, alcuni nel parto o in altro modo. Come il povero piccolo Quintinio dalla testa rotta, volato disgraziatamente giù dal balcone, in circostanze che nessuno mai si era riuscito a spiegare. C’era il carpentiere Osvald, che non rivolgeva più la parola al vecchio Edmund Chanes, il padre di Roselia, da quando gli consegnò la salma dell’amato fratello: la sua mummia era venuta malissimo, al punto che la sua bocca stecchita pareva congelata in un eterna smorfia di disgusto per se stesso. Oppure c’era gente come Binot, un tizio piuttosto singolare, sempre vestito di un abito rattoppato che una volta si suppone dovesse essere particolarmente elegante, il quale un giorno si rimetteva alla grazia di un morto, un giorno a un altro, chiedendogli che gli suggerissero in sogno la puntata vincente dall’allibratore.
Era in sogno che i morti si manifestavano a chiunque si curasse di loro e gli dedicasse affetto e attenzioni. Gli Chanes lo sapevano bene, poiché con la morte ci convivevano sin dalla nascita, come una famiglia allargata.

Roselia aveva sempre saputo che la sua famiglia era speciale, benedetta da Eiua e devota al culto della Santa Bambina, protettrice dei defunti. Da quando, molti anni prima che lei nascesse, un misterioso monaco proveniente dall’estremo Nord del continente fece in dono al suo bisnonno quell’ampolla colma di un fluido ceruleo, brillante come la neve sotto il sole dell’alba, raccontando storie di un luogo magnifico immerso tra i ghiacci, dove una Dea Bambina vegliava sui corpi dei grandi del passato, preservando la loro eterna memoria e proteggendoli dalle insidie degli Oscuri. Con quel filtro, il dottor Flizgard generò la prima Damigella Bianca, sacerdotessa della Santa Dormiente. Da allora, i morti disposti al suo fianco nella cripta erano divenuti parte dei loro sogni, recandogli la loro gratitudine e la loro saggezza, e lo stesso avveniva per coloro che, ammaliati dall’incredibile bellezza della Damigella, avevano acconsentito di buon grado ad affidare le salme dei loro cari ai Chanes.

Il dottor Edmund Chanes, il padre di Roselia, era un medico rinomato, mastro Colatore devoto alla Santa Dormiente ed esperto nell’arte della mummificazione. Conoscenza ereditata da suo padre, il quale la ereditò a sua volta dal padre di suo padre, e che ora stava cercando in tutti i modi di inculcare in quella testa dura di suo fratello Samuel. Quanto a sua madre, era la migliore Decoratrice della zona - nonché l’unica - e la sua abilità nel confezionare ogni genere di abito e ornamento funebre era rinomata in tutto il quartiere. Roselia, dal canto suo, faceva un po’ di tutto. Già all’età di dieci anni era in grado di confezionare elaborati occhi di pizzo, intrecciando il tessuto attorno a un nocciolo di quarzo dipinto, da inserire nelle orbite dei morti, cuffiette e coroncine ornate di merletti per le bambine. E alla scuola settimanale, la sua abilità era particolarmente apprezzata dalle sue compagne, nonostante tutto il circondario sapesse quale fosse l’attività della famiglia Chanes. Quando sua madre ritenne che fosse abbastanza matura, le affidò la preparazione di tutti i bambini, il che era un lavoro decisamente oneroso, giacché erano quasi la metà degli scheletri che uscivano dal putridarium, ma non ci mise molto a prendere dimestichezza con le ossa e il filo di rame. E i suoi piccoli pupilli li conosceva tutti per nome, non mancandole di scacciarle gli incubi e allietarle i sogni quando andava a dormire, al pari di tutti gli altri abitanti della cripta, che ormai da più di mezzo secolo proteggevano il sonno della famiglia Chanes.

Ovviamente anche tutti gli antenati dei Chanes erano posti nella cripta: i suoi zii, i suoi nonni, i suoi cugini, il capostipite Flizgard... e sua prozia Lucinia.

Lucinia Chanes, la Damigella Bianca. Un impercettibile brivido corse lungo la schiena di Roselia. Si riscosse improvvisamente, staccandosi con cautela dall’uscio e poggiandosi le nocche sul fragile petto ansioso. Da quanto tempo era lì? Non se lo ricordava. Certamente troppo. Frettolosa si voltò e si diresse a passi veloci fuori dal vicolo, oltre l’angolo, verso la porta di casa, sospinta da un filo di panico all’idea che sua madre la lasciasse di nuovo senza cena. Di nuovo.

Spalancò la porta quasi di botto, fingendo magistralmente una certa fretta, ansimando come se fosse arrivata di corsa, tanto che per un pelo una coppia di pomodori non gli volò giù dalla cesta. Il padre, che se ne stava concentrato su una pila di fogli di carta pressata a stilare l’inventario settimanale, per poco non ribaltò il calamaio dallo spavento. Dal tavolo della cucina, la guardava da dietro i suoi occhiali sformati, la bocca mezza aperta in un’espressione attonita e la penna d’oca in mano a mezz’aria, gocciolante d’inchiostro. Anche il rumore scricchiolante dell’arcolaio si fermò: sua nonna Lidja e suo fratello minore Levi si sporsero dalle seggiole al lato del caminetto per capire cosa stesse succedendo, l’una strizzando gli occhi tra le fitte rughe scrutando con fatica verso la porta, l’altro con sguardo basito, le mani alzate davanti a sé e una matassa di filato avvolta attorno agli avambracci. Roselia s’irrigidì, sentendo gli occhi di tutta la famiglia su di lei, realizzando di aver leggermente esagerato con la sua scenata. Dall’aroma caldo e untuoso di verdure bollite, la vista del calderone borbogliante sul focolare e delle ciotole e cucchiai di legno ancora impilati sul banco della cucina le fece capire di essere arrivata giusto in tempo. Tirò un sospiro di sollievo.
Ti sembrano questi i modi, signorina?!” La rimbrottò il signor Chanes, sollevando il mento smunto e sottile, cercando di raccogliere quanta più autorevolezza la sua magra figura di umile accademico riuscisse a contenere.

Ma quanto tempo ci hai messo?! È così che mi aiuti a preparare la cena?” La breve consolazione di Roselia fu troncata di colpo non appena la voce squillante della madre tuonò nel piccolo soggiorno, penetrando i timpani di tutti i presenti. Magritta Chanes emerse a grandi passi dalla dispensa, pulendosi le mani in un lembo ancora privo di macchie del grembiule, squadrando altera la figlia con quegli occhi ferini, stanchi quanto irritati. Era una donna alta, più del marito, dotata del fisico temprato tipico delle donne abituate ai lavori pesanti. Un collo robusto, ma slanciato, i capelli castani chiari legati in una lunga coda di cavallo da un nastro di cotone celeste finemente trinato, che ben si accoppiava al colore dei suoi occhi, e un viso che conservava ancora una parvenza gradevole, nonostante la sua età e la pelle leggermente rovinata dai fumi della formaldeide.
E tra l’altro devi ancora lavarti e cambiarti! Non vorrai venire conciata così al funerale della regina, spero!
Roselia serrò le labbra, facendosi piccola piccola. “S-scusatemi! La signora Marina mi ha fermata a chiacchierare e... non riuscivo più a staccarmela di dosso!” Tartagliò, mentre a passi svelti e testa bassa girò attorno alla madre e scappò in dispensa per svuotare la cesta piena di uova e verdure, cercando di accompagnare le sue scuse con un affettato spirito laborioso, come se sperasse che una dimostrazione di buona fede e tardiva responsabilità le avrebbe risparmiato la strigliata per il suo ritardo. “Quando sono arrivata, lo spaccio era già chiuso... e il signor Osmund non trovava le chiavi, quindi...” “See, see... ora sbrigati, che è quasi pronto.” La madre la interruppe con tono secco: aveva un sacco di cose più importanti da fare che ascoltare le sue ciance. “Il vestito buono te l’ho messo sul letto.” Concluse la discussione, lapidaria, rimandandola a un secondo momento più calmo, ma che Roselia sapeva sarebbe stato inevitabile. Mentre riponeva le uova sugli scaffali e le verdure nei rispettivi sacchi, ripercorse con terrore ogni dettaglio dei suoi alibi costruiti alla buona, paventando nella sua mente ogni possibile apocalisse che si sarebbe scatenata su di lei, se il giorno successivo sua madre avesse sventuratamente incrociato al mercato le persone interessate.
Stupida, stupida, stupida Roselia! Non imparerai mai a startene zitta! Già presagiva le voci spocchiose delle piccole Rina e Ginestra che quella notte avrebbero guastato le sue notti pacifiche, come fin troppo spesso era accaduto ultimamente. In fondo un pochino se lo meritava: tre settimane prima, mentre era intenta a pulire la loro alcova, era riuscita a staccarle i teschi dal corpo a entrambe con un singolo, maldestro colpo di ramazza. Per fortuna quella volta non la vide nessuno e riuscì a rimettere tutto al suo posto in tempo, nascondendo quanto meglio il misfatto, ma non poteva fare a meno di ammetterlo: da quando aveva iniziato a fare regolarmente turni con suo fratello a pulire la cripta, al posto della nonna, si sentiva particolarmente stressata e sconcentrata, e stava combinando un disastro dopo l’altro. La vicinanza dei morti non la disturbava, anzi... percepiva quel legame che aveva avuto con loro sin dalla nascita come un piacevole tepore.

Ma Lucilla... giorno dopo giorno, ore e ore passate di fronte a lei... le facevano emergere troppi brutti ricordi... Roselia si massaggiò le braccia per far sparire la pelle d’oca che gli venne al solo pensiero.

Almeno la consolava l’idea che dopo il funerale della regina, sarebbe presto avvenuta l’incoronazione della principessa, e già pregustò l’aria di festa, l’olezzo di frittelle che avrebbe imbalsamato le vecchie strade, i giochi, i funamboli e le bancarelle stracolme di leccornie ed esotiche mercanzie da ammirare.

Ah...” Si riscosse, ricordandosi di un dettaglio che aveva dimenticato. Si alzò e andò a sporgersi dall’uscio della dispensa. “Giù dalla zia c’è la signora Zenea.” Disse, protendendosi verso la nonna Lidja.
L’anziana donna ci mise qualche istante per staccare la sua concentrazione dall’arcolaio e rivolgerla alle parole della nipote. “Ooh, c’è la Zenea...?” Si alzò dalla seggiola, facendo cenno a Levi di tagliare il filato e riporlo, e si avviò claudicante verso la porta di casa. “Aspetta che vado a chiederle se vuole venire su a mangiare un boccone. Devo pure ringraziarla per la cesta di ciliegie che ci ha regalato l’altro giorno.
Afferrò la maniglia con le mani nodose e l’aprì.

Sussultò rumorosamente, indietreggiando con un’espressione di paura sul volto. L'attenzione dei Chanes si spostò su di lei.
S’irrigidirono tutti non appena si resero conto che di fronte all’uscio vi era un’imponente figura, tanto alta che la metà della sua faccia superava l’architrave, semi-oscurata fra la penombra della strada e la lieve luce tremolante delle candele che illuminavano il soggiorno. Il pugno alzato come se fosse stata in procinto di bussare prima che la porta si aprisse.

"Ehm... Chanes... giusto?

Piccola introduzione.

 
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view post Posted on 22/12/2019, 11:46
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(Oralia, mesi prima...)
I passi pesanti di un uomo in armatura si facevano strada tra le silenziose stanze dell'Oltraggio. Come si confà ad una scalata verso i cieli, ascendere la Torre di Platino era un esercizio estenuante quanto sacro: il rumore della vita, della consuetudine, si faceva sempre più flebile man mano che ci si allontanava dalla superficie di Oralia. Arrivati a quel punto non rimaneva più nulla di ciò che potrebbe essere definito natura.
Alexios si specchiò brevemente nella parete di metallo traslucido, osservando la sua figura distorta nella curvatura del muro. Un uomo alto, con indosso una pesante e scintillante armatura che si arrampicava sul suo corpo come l'edera sul muro. Incrociando il suo stesso sguardo severo esitò per un istante, quindi proseguì frettolosamente. Nei piani più alti dell'Oltraggio non c'era anima viva e gli unici lavoratori erano costrutti di metallo e cristallo costantemente indaffarati a gestire una grande mole di informazioni, mostrate loro attraverso pagine di etere fluttuanti in cui scorreva interminabile un torrente di parole. I costrutti immagazzinavano le informazioni e poi le mandavano telepaticamente in tutti i massimi centri di Oralia, che a loro volta li distribuivano ai Legati secondo necessità. Era un sistema che non aveva bisogno dell'intelletto umano, progettato dai grandi tecnomanti della nazione per il solo scopo di rispettare l'ordine di un solo uomo, l'unico col desiderio e privilegio di vivere tra i cieli, in silenzio e solitudine.

La porta di vetro si aprì da sola rispondendo ad un comando invisibile e le ante scivolarono nel muro. Quel genere di marchingegno, alimentato da minuscole eteriti e governato da un complesso schema tecnomantico, sarebbe stato considerato come uno sfacciato spreco in ogni parte di Atea, ma non lì.
«Maresciallo.» Alexios si fece rigido e batté il pugno destro contro la pettorina della sua armatura, annunciando la sua presenza col saluto militare di Wye. Si trovava ora in quello che sarebbe stato corretto definire un attico, lo spazio abitabile della più grande carica della Nazione. In fondo alla sala, che era cosparsa di divani e cuscini candidi, una possente vetrata si affacciava sull'interezza di Oralia -una distesa di metallo e pietra che si spingeva ben oltre l'orizzonte, un oceano di civiltà come mai se ne erano visti su Atea. Di fronte a tutto questo, la figura minuta di un ragazzo gettava la propria ombra, rimanendo in silente contemplazione. I suoi capelli bianchi scintillavano contro la luce del sole mattiniero.

Alexios continuò. «Ci è giunta voce da Idomea. Pare che Elise Eosfilia sia finalmente passata a miglior vita, dopo una lenta agonia.»
Il Bianco si voltò verso il suo sottoposto. Il suo solo occhio grigio sembrava vuoto di interesse quanto di volontà. Incrociando quello sguardo Alexios non poté che abbassare il suo, sentendosi il cuore stretto dal rimorso.

«Siamo attesi nella capitale reale per l'incoronazione della nuova regina, Alma Eosfilia. Si tratta anche di un'occasione per rievocare la Pace di Caltrisia...»
Lathi sospirò e tornò a guardare il suo dominio, imperturbabile.

«Mi ricordo di lei. Alma...»
Il Bianco studiò il proprio palmo. Dieci anni prima aveva stretto la piccola mano della principessa, portandola in salvo dalle fiamme e dalla distruzione che lui stesso aveva portato a Idomea.
«Che tipo di donna sarà diventata?»
Sarà il suo odio per me a bruciare questo mondo?

- - -

Lo squillare di trombe irruppe nell'aria, come una lancia a perforare i timpani di chi non se lo aspettava. Il chiacchiericcio delle folle si acquietò subito dinanzi all'arrivo dell'Alleanza. Dalla carrozza uscì dapprima un uomo, capelli rasi e due spade alla cinta; la sua divisa, una lunga giacca nera priva di dettagli all'infuori di un orlo in argento sul bavero e impreziosita solamente dal triplice triangolo di Wye iscritto e dalle medaglie pesanti, il Giudice Alexios impartì un ordine col braccio. Sei uomini si posero davanti alla carrozza, tre per ciascun lato, due di loro con dei tamburi legati al collo e uno con la trombetta. Emerso il piede di uno stivale nero, i sei e Alexios si batterono un pugno sul petto in saluto.

Lathi il Bianco uscì impettito. Il suo occhio si posò sulla folla che li separava dall'ingresso vero e proprio dell'anfiteatro, scrutandola con scarso interesse prima di incamminarsi nel corridoio che man mano si stava aprendo nella folla, i suoi passi scanditi dalle bacchette sui tamburi, i soldati dietro e Alexios accanto. Ad accoglierli fu lo sguardo impassibile di Nike, la mano poggiata sul pomo della spada per consuetudine - anche se nell'incontrare l'ambasciata di Wye le dita si erano inavvertitamente strette sul freddo metallo.

«Prima paladina Nike. Felice sapere che il tempo non ci abbia derubato della sua avvenenza.»
Lei abbozzò un inchino con il capo, senza staccare gli occhi dal Maresciallo o dal Giudice, e li lasciò passare camminando al loro fianco.
«In tempi di pace le donne sono padrone. So che come concetto è un po' difficile, per voi, non mettere a ferro e fuoco qualcosa per un anno o più.»
Lathi ghignò appena, come una crepa su un volto altrimenti granitico.
«Continui ad essere impertinente.» commentò Alexios rifilandole un'occhiata gelida.
«Fossi un ingenuo, direi che tu voglia provocare il Maresciallo. Ma...»
Il Bianco si schiarì la gola, e il Giudice tornò in silenzio.
«Va bene così, Nike. Troveremo il nostro posto da noi.
Senza mettere a ferro e fuoco ancora questa città.
»
Con un sorriso tagliente, il Maresciallo si congedò dalla paladina - e la tensione nell'aria si dissolse.

- - -

La gran sacerdotessa Tama guardò il pubblico. Gli spalti erano ormai pieni, e gente di ogni sorta e dove erano giunte per la cerimonia. Non senza un senso di gioia e commozione ricordava come da piccola avesse visto Elise salire su quel palco, proprio dove si trovava lei in quel momento, e udito le parole del rito. Il giuramento, e infine la Prova.

Aveva guardato la lista degli ospiti un'ultima volta prima di salire, ed era riuscita ad individuarne buona parte: l'ambasciata dell'Alleanza si era appartata sulla curva occidentale, quasi mentre quella ad est occupava il ben più piccolo drappello dei Figli delle Statue; il suo alto ambasciatore Keshet svettava sui suoi compagni, quasi inquietante, con il suo volto bianco di porcellana perfettamente bianca e la statura che superava i due metri. Uomini del Kalnas e rappresentanti del Collegio del Monolito - con un raro Mavis Rath in prima fila - occupavano la curva meridionale; presto a completare quel quadro, con l'incuranza tipica degli elfi per i tempi delle cerimonie altrui, giunse la congrega di Duan.

Un cenno di uno dei novizi al suo fianco, e l'ora era finalmente giunta. Si schiarì la voce. La magia le pervase la gola, come una fresca bevanda.

«Illustri ospiti dei Territori centrali e delle due Punte. Popolo di Idomea.
Benvenuti.
»

Il silenzio fu quasi assoluto. Le voce rischiò di seccarle in gola, ma si fece forza. Non aveva l'età per sentirsi in imbarazzo.

«Un altro capitolo si è chiuso in Idomea. Con cordoglio ci siamo separati dall'amata regina Elise, ma oggi non siamo qui per compiangerla. Idomea è la terra baciata da Eiua, e da Eiua scelta perchè i Suoi figli potessero vivere! E oggi, siamo qui per portare una discendente del sangue di Eos, sul trono vuoto che le spetta per guidarci ancora!»

La folla idomeana chinò il capo, come pure alcuni fra i membri del Kalnas e un mago al fianco dell'arcimago Mavis, e congiunse le dita. Solo un uomo tenne il capo fermo: un telo enorme a coprirgli il capo, due braccia sottili spuntavano incrociate con cerchi sottili dorati attorno ai polsi che il vento lieve faceva tintinnare a rompere il silenzio mistico. Il corpo di Jivanmukta rimase quieto ad osservare con i suoi tre occhi, incurante delle persone che progressivamente avevano percepito qualcosa di sbagliato venir irradiato dalle sue vesti consunte e polverose.

Alle spalle della gran sacerdotessa, giunti durante la declamazione, un nutrito gruppo di uomini e donne armati di strumenti d'ogni sorta iniziarono a intonare e suonare accordi.

- - -

Provò a respirare ed inspirare più volte, il corpetto a serrarle in una morsa il torace, ma senza alcun successo: l'ansia rimaneva lì, e non c'era nulla che riuscisse a farle per scacciarla. Da sola nelle stanze, solo un'ancella in religioso silenzio e capo chino in attesa di ordini, Alma non sapeva cosa fare. Sentiva il suono di uomini e donne che si avvicendavano sulla pietra, scalpitando e chiacchierando, ridendo e imprecando, attendendo tutti che lei giungesse. Nulla più che suoni confusi dall'esterno attraverso i mattoni che la muravano in quelle quattro pareti. Non era una prigione, lungi dall'esserlo - per l'occasione le stanze dedicate all'alloggio delle compagnie teatrali erano state messe a nuovo, ordinate e pulite per i suoi preparativi.

Una parte dei suoi capelli era stata legata in una lunga coda, e sulla sua fronte un leggero diadema di perline si allacciava ad un velo scuro semitrasparente che le copriva la parte superiore del viso congiungendosi infine alla crocchia in oro che reggeva la sommità della chioma. L'abito cerimoniale, una tunica lunga che lasciava nude le spalle, era di fine velluto tinto di rosso vivo impreziosite lungo gli orli neri da gemme di ogni sorta alternate. Scintillavano alla luce delle candele che illuminavano la stanza altrimenti lasciata in penombra per ordine della stessa principessa, che ora sedeva composta su una sedia torcendosi i polsi, fasciati di sete nere fin dopo il gomito.

«Mia signora, è quasi ora.»
Alma non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo e seguire i suoni per scandire il tempo infinito in cui le sembrava di essere rimasta lì. Sentì le voci scemare, e poi sentì Tama parlare.

- - -

«Ad ogni fine segue un inizio, con il calare del sole sorge non un giudizio
ma una luna nuova scintillante, amata fonte di vita e luce folgorante.

Salutiamo tutti Idomea, città rossa e regno dove il Nemico langue!
Per onorare il sacrificio di Selene, della Dea e del suo sacro sangue.

Mille anni e più sottoterra ci siamo spinti, le nostre case infrante, tutti noi vinti.
Ma nemmeno gli abissi celarono ad Eiua la nostra disperata preghiera,
e al suolo di Atea chinò lo sguardo - e lasciò noi una speranza, una messaggera.

Alle regine passate io canto, nostra forza e nostro vanto
e alla nuova io mi inchino, alla nostra storia e al nostro destino!
»

La voce del bardo, un giovincello magrolino dai capelli ricci biondi, si spense assieme alle corde degli strumenti e alle canne dei flauti dei suoi compagni, e ben presto il suo echeggiare sempre più vago ed incerto venne spazzato via dagli applausi e incitazioni della folla. Qui e lì la gente esultava, e alcuni fra i più veterani - persino fra quelli più austeri - videro affiorare lacrime. Erano note familiari: erano quelle con cui la precedente compagnia aveva accompagnato l'incoronazione di Elise. Gelda stessa, in Idomea dai tempi del funerale, le aveva sentite ripetere mormorare durante la cerimonia a tratti. L'evento la incuriosiva - e stando a quello che aveva sentito dire, la giovane Alma era ricca di promessa. Qualcuno potenzialmente più ricettivo nei confronti del verbo dei Mirari. Mormorò una preghiera, che si perse subito nel vociare soffuso.

Alcuni fra i dissidenti borbottarono qualcosa, anche se pochi gli diedero retta: la canzone era decisamente più corta, tagliata brutalmente proprio nella sua parte più viva. Non una coincidenza, avrebbero ribattuto in tanti - in fondo era nato come inno contro Wye. Ora era diverso: si sarebbero celebrati assieme i dieci anni della Pace. Pur in tempi diversi, sotto una cornice differente, la storia - o Storia, secondo i più entusiasti - si sarebbe ripetuta ancora una volta.

Ancora una volta, una regina sarebbe sorta come pilastro per sorreggere la nazione.
Ancora una volta, per ricordare che la venuta di Ouroboros non sarebbe stata una fine.
Solo, un altro inizio. E che sarebbero stati pronti ad affrontarlo.

«Figlia di Elise e di Casimir.»
«Mostrati al tuo popolo.»

- - -

Lathi avvertì alle sue spalle un movimento, qualcuno che strisciò appena sullo scranno sul quale era seduto per passare al suo fianco.

«Questi idomeani! Bisogna pregarli per farti passare, dannazione.» Il vecchio capitano si sedette con evidente irritazione alla sinistradel Maresciallo. «Non sarebbe stato un problema se fossi venuto prima con me, Babas.»

Il commento del Bianco provocò una reazione di sdegno da parte dell'altro, che lo fissò come se avesse detto che l'acqua scorresse verso il cielo.
«E perdermi la vista delle Ossa?
Poi sarei io il pazzo.
»
Aggiunse sbuffando. Lathi sospirò e appoggiò il palmo sulla mano fissando la sagoma minuta rossa e nera nell'arena, una piccola coccinella che si avvicinava ad un fato immensamente più grande di lei.

«Cosa ne dici? È cresciuta?»
L'unico occhio fissò la donna salire sul palco. Registrò la sua rigidità, il suo passo forzato, le spalle tese. Scosse appena il capo, rigirandosi nella tasca tre piccoli globi di mercurio.

«Non è che una bambina spaventata. L'ombra di ciò che sua madre sarebbe dovuta essere - e che, nel momento in cui questa nazione poteva averne più bisogno, non è stata.» Le dita strinsero i globi. «Chissà quanto velocemente crollerà questo regno, con una seconda regina indebolita.»
Il vecchio lo aveva osservato durante la risposta, e quando il Maresciallo smise di parlare ridacchiò come se avesse colto qualcosa di cui nemmeno Lathi si fosse reso conto.
«Magari è così. Magari non ha ancora trovato il momento giusto.
Non ha trovato le ali.
»
Un ricordo lontano di un ragazzino che abbordava una nave gigantesca priva di vele, librandosi sui cieli della Linea, riaffiorò nella mente del capitano. Lo ripose con affetto, tornando al presente, e si torse i riccioli della lunga barba nel sentire il continuare del rito mischiarsi con le urla degli idomeani.

- - -

«Mostrati al tuo popolo.»

Alma, come ipnotizzata, varcò la porta che la separava dalla sua ultima zona di conforto ed emerse man mano, preda degli sguardi eccitati di migliaia di persone nel Solco. Un boato seguì la sua entrata, e i cori delle persone che intonavano il suo nome rischiarono di assordarla. Ma non vacillò, nè si fermò: continuò imperterrita fino al punto in cui si elevava il palco in legno, salendo i gradini e a malapena sentendoli cigolare. Da dietro il gran copricapo di forma conica da cui scendevano diversi nastri dorati e scarlatti, Tama la guardò con apprensione. Le aveva insegnato le diverse fasi della cerimonia durante quei mesi, e aveva visto gradualmente la fanciulla crescere. Eppure in quel momento era pallidissima, come se la morte dovesse venire a coglierla nel giro di poco. Le prese delicatamente il polso e le sollevò il braccio, provocando un'altra ondata di giubilo da parte degli idomeani.

«Principessa Alma. Sei sangue del sangue di Selene?»
«Sì.»
La voce le uscì la prima volta esile, tanto che nemmeno Tama fu sicura di averla sentita. Inspirò a fondo.
«Sì.»

«Discendente di Eos, sangue del sangue di Selene: sei benedetta da Eiua?»
«Sì.»
«Provalo.»

Quello era il momento cruciale. Ancora una volta, come se ordinata da una mano invisibile, gli spalti erano tornati nel silenzio più assoluto. L'aveva fatto tante volte in preparazione, eppure mai come in quel momento il suo intero corpo le parve ribellarsi, la sua mente strizzata da una forza invisibile. Le lasciò la mano, che ricadde lentamente al suo fianco. Alma tese la mano aperta dinanzi a sé, come ad invitare qualcuno a restituirgli qualcosa di suo. Poteva esserlo davvero, però? Qualcosa di così grande, così pericoloso, così pesante? Poteva mai appartenere solo ad una ragazzina - soprattutto se quella ragazzina era lei?

Si rese conto che le dita le stavano tremando. "Non ora. Non più."
Chiuse gli occhi e scrollò il polso: un lampo rosso brillò nella sua mano, e prima ancora di rendersene conto stava stringendo il mano come tante volte prima la Spada. Rinfoderata nella sua curata custodia in pelle ricamata, la reggeva per l'elsa - e per poco non se la lasciò sfuggire.

La folla, col fiato sospeso, tornò ad acclamare il suo nome in visibilio.



gideon-icon
PdV: Lathi, il Bianco
QM POINT:
Vengono introdotti numerosi personaggi, alcuni presentati direttamente nel post e altri meno. Abbiamo diversi PnG fra gli spalti: l'Alleanza con il Bianco, Alexios e il governatore di Nuova Lor Babas; una piccola ambasciata dei Figli delle Statue con jin di ogni forma, capeggiati dall'Alto Ambasciatore [Keshet]; Mavis Rath del Collegio del Monolito, e un drappello di maghi; Rorveir, un capo guerriero del Kalnas coi guerrieri del suo clan; [Nuhmi] e [Bartred], capi rispettivamente delle famiglie Geal e Dubh che dominano parallelamente la città elfica di Duan; e ovviamente il clero idomeano, che pur non descritto direttamente finisce di prendere posto con l'eccezione di Tama.

Sedute fra la folla, altre due figure si sono unite alla cerimonia: una è Gelda, la Missionaria dell'Ordine dei Mirari, e l'altro è [Jivanmukta] - o per essere più specifici, il suo corpo.

In tutto ciò, Alma viene invocata e chiamata a mostrare la sua appartenenza alla stirpe di Selene - e il post si conclude con il suo richiamare la Spada Sanguigna. Avete possibilità di interagire o cercare interazioni con questi PnG (in caso risolvendo tramite Discussione), potete anche gestire dialoghi fra voi o con PnG da voi inventati, purché non trattiate autconclusivamente PnG di alto calibro.

Il turno avanzerà il 31 Dicembre. Mortificato per il ritardo, ora sono a casa e le cose dovrebbero essere più stabili. Se avete dubbi su cosa potete o non potete fare, scrivete anche in Discussione o in privato!


Edited by ~Coldest.Heaven - 27/12/2019, 22:27
 
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view post Posted on 25/12/2019, 18:13
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1


Sherwood,
Qualche giorno prima


«È il momento che stavamo aspettando» La voce di Sancho sovrastò il chiacchiericcio «Abbiamo bisogno di un'icona, no?» Si alzò in punta di piedi, smanaccando in cerca di attenzioni «Qualcuno che risvegli l'animo assopito della gente, qualcuno per cui il popolo combatterebbe, finanche darebbe la vita, in suo nome» Il tono pomposo delle parole lasciò la sala in un silenzio imbarazzato. Il ragazzo dalle orecchie a sventola era riuscito nel suo intento: avere, finalmente, il suo attimo di gloria, il suo momento speciale nel quale, per la prima volta nella sua vita, i sacerdoti più anziani si erano fermati ad ascoltarlo. Ma a quanto pareva non aveva misurato bene il peso della tensione che aveva interrotto. Troppa, per poterla reggere con disinvoltura. Il suo volto si tinse di un rosso vergognoso, come quello di un pomodoro marcito. E, come se non bastasse, lo sguardo di Cassius tagliò la sua risolutezza in fettine tanto sottili da potervi riempire una catasta di panini. Uno sguardo che gli urlava negli orecchi "Perché cazzo hai osato interromperci, Nullità?". Sancho si accorse, troppo tardi però per evitare una figura di merda, che effettivamente ciò che aveva affermato non era che qualcosa di ovvio, trito e ritrito almeno un centinaio di altre volte, solo quella settimana. Decise, di sua sponte, di adagiarsi di nuovo al proprio posto e nascondersi in un angolo buio e distante - sottoterra, se ne avesse avuto la possibilità - dove poter tranquillamente continuare a sonnecchiare in silenzio, come aveva fatto da quando era diventato un Merlo. «Alma potrebbe fare al caso nostro. Potremmo...» Cercò di concludere il suo intervento per dare quantomeno un nesso logico al proprio ragionamento, in un filo di voce tremolante, a malapena udibile.
«Non è prudente, Cassius» Si intromise Raoul, alzandosi in piedi dal suo scranno di legno in uno scatto imperioso. La voce si levò in una protesta parecchio più decisa e risoluta rispetto a quella che l'aveva preceduta. Le parole si fecero spazio tra i presenti con grande prepotenza, richiamando tutta l'attenzione della sala su di lui. Lontana, adesso, dal povero, misero, Sancho, che colse la palla al balzo per tirare un profondo sospiro di distensione e tornare a giocare con i lacci del proprio abito scuro. Gli occhi del Gran Merlo saltarono in direzione del sacerdote dalla pelle olivastra e dall'accento meridionale. In essi arsero fuochi di rimprovero.
«Ma dobbiamo, Raoul» La densa tonalità di voce di Cassius riempì le orecchie dei presenti, ammorbando la sala. Dal tono regale e maestoso, era invidiata da chiunque l'avesse udita almeno una volta nella vita «Ci troviamo in questa situazione precaria da troppi anni» Il Gran Merlo, primo coordinatore del culto della Luna Nera di Sherwood, passò in rassegna gli altri sacerdoti presenti nella sala, indugiando per un istante in ciascuno di essi, studiandone la luce dello sguardo e ravvivandone la fiamma ardente del coraggio. Ma quello che vide non gli piacque: troppi occhi vecchi e stanchi. «Non possiamo continuare a vivere derubando le persone più avvenenti della società. È una situazione troppo pericolosa e ognuno di voi lo sa bene. Rischiamo troppo» Solo alcuni, nella sala, annuirono alle sue parole «È di sicuro molto più pericoloso continuare a vivere come dei criminali che tentare un viaggio nel regno di Idomea» Tra tutti i sacerdoti presenti, gli occhi di Cassius si soffermarono, più a lungo, in quelli di Alan. Se c'era un uomo sull'intero continente di cui il primo coordinatore dei sacerdoti della Luna Nera si fidasse quello era se stesso, senz'ombra di dubbio, ma se proprio doveva lasciare il monastero nelle mani di qualcun'altro, la scelta sarebbe ricaduta su Alan. Si era rivelato più volte un sacerdote preciso ed affidabile. Quantomeno più di Raoul e dei suoi modi di fare così tanto diplomatici quanto vigliacchi. Cassius era pronto a scommettere tutte le corone dell'Alleanza di Wye che il Merlo dalla pelle olivastra, se messo alle strette, avrebbe cinguettato ai quattro venti i segreti del monastero di Sherwood. «Partirò domattina all'alba» La voce del Gran Merlo non lasciava più spazio ad eventuali chiacchiericci infruttuosi «Raoul mi accompagnerà. D'altronde i due Merli più anziani sono stati richiesti per portare omaggio ad una cerimonia straordinaria che il continente non vive da quasi un secolo. E non possiamo rifiutare» Mosse la mano destra in direzione di Alan ma i suoi occhi continuarono a fronteggiare lo sguardo, ora contrariato, del Merlo dalla pelle olivastra «In nostra assenza, il monastero resterà sotto l'amministrazione diretta di Alan» Un nuovo brusio concitato proruppe nella sala ma questa volta Cassius fece finta di non sentire.


~ • ~


Basilea

La cerimonia era già iniziata da un pezzo quando i due sacerdoti avevano finalmente preso posto. Raoul non riusciva a smettere di mordersi l'unghia dei pollici né di tamburellare freneticamente i piedi a terra. I suoi occhi di smeraldo non facevano che voltarsi nervosamente verso la loro destra, dove, qualche posto più in basso, sedevano tre importanti rappresentanti del governo dell'Alleanza. Dato il ritardo col quale lui e il Gran Merlo si erano presentati alla cerimonia, non c'erano dubbi sul fatto di essere stati notati da quei tre. Certo, quello dei ritardi del Gran Merlo non era un qualcosa di nuovo per i sacerdoti del culto della Luna Nera: Cassius era famoso per essere un inguaribile ritardatario. Quella mattina, ad esempio, aveva insistito per far visita ad un suo vecchio amico, in una qualche locanda del centro della quale Raoul non ricordava più il nome. Ma fuori dalle mura del Monastero di Sherwood, presentarsi in ritardo non era per niente considerato un bel gesto. Anzi, in alcune culture i ritardatari venivano marchiati di insolenza e puniti in modi tutt'altro che religiosi. Cosa potevano aver pensato di loro due, il Bianco, Alexios e Babas, ora che i Merli di Sherwood si erano fatti scoprire, palesemente, alla presenza dell'incoronazione della regina dell'antico regno al quale il loro stesso culto era stato fortemente legato in passato, se non che fossero dei traditori dell'Alleanza che stavano tramando sotterfugi ed intrichi alle loro spalle? Da lì alla condanna a morte, il passo era fin troppo breve, per i suoi gusti.
Di contro, l'attenzione di Cassius era tutta per la principessa Alma, che aveva fatto il suo ingresso trionfale nell'Arena e stava ora rispondendo al rito di incoronazione con una, seppur lieve, timida titubanza. Alla sua destra, comunque, era impossibile mancare di notare il nervosismo di Raoul. Eppure, se tutto fosse andato per il verso giusto i Merli avrebbero potuto intraprendere presto il loro, anche se lungo, cammino di riscatto, scatenando il popolo di Wye contro l'Alleanza sempre più opprimente nei confronti del culto della Luna Nera e, più in generale, dei reietti della società. Se solo la regina Alma si fosse dimostrata valida e solida tanto quanto la defunta, e cara, Elise, avrebbe potuto rappresentare una bandiera, un esempio di orgoglio e risolutezza che avrebbe scosso gli animi fiacchi della povera gente. Per rendere ancora più appetitosa la cosa, avrebbe potuto, magari, mostrare anche qualche briciola di astio e risentimento nei confronti di quei tre esponenti dell'Alleanza che tanto facevano intimorire il suo compagno di viaggio. Dov'era il pericolo di mostrarsi ad una cerimonia straordinaria ed inusuale, restando ad osservare, composti, lo sviluppo degli eventi dalla comodità della seduta assegnata loro in quanto invitati dal culto di Selene? La mano di Cassius strinse la lettera, nascosta nella tasca sinistra del suo abito religioso. Su di essa erano incise poche, semplici, righe, ma decise, che non lasciavano adito a dubbi o altre interpretazioni. Parole che erano riservate alla regina, ma solo nel caso in cui il Gran Merlo avesse giudicato che Alma rappresentava, a tutti gli effetti, un'icona solida della rivoluzione. Ad ogni modo, regina di Idomea o meno, dall'altra parte del continente la Volpe Argentata doveva aver ormai raggiunto Sidonia. In un caso o nell'altro i sogni di libertà dei cittadini di Sherwood stavano iniziando a farsi sempre più vivi. Il giorno del riscatto cominciava ad avvicinarsi.

Alma vibrò la Spada nell'aria.
L'Arena esplose in un boato di visibilio. Con un sorriso tronfio sul volto increspato, Cassius si rilassò contro lo schienale della seduta, ansioso di godersi lo spettacolo. Alla sua destra, Raoul studiava la nuova regina con sguardo preoccupato. Gocce di sudore navigavano la sua fronte spaziosa.


Nella prima parte ho introdotto i Merli, sacerdoti di un culto della Luna Nera, confinati nei territori di Sheerwood, sottratti al regno di Idomea dall'Alleanza di Wye durante la guerra dei 99 anni. Pressati dalle imposte sempre più pesanti, i Merli sono costretti a vivere rubando. Essendo però uomini religiosi, l'arte del furto non è propriamente la cosa che viene loro più naturale, perciò stanno progettando, ormai da tanti anni, di schierare il popolo di Sherwood in una rivolta contro i governi centrali. Come primo passo per organizzare il progetto, i Merli hanno bisogno di trovare un'icona che spinga il popolo a rivoltarsi. A tal proposito colgono l'occasione dell'incoronazione della regina Alma per osservare se fosse lei una valida candidata. In caso lo fosse, Cassius, il Gran Merlo, ha pronta una lettera da consegnarle.
 
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view post Posted on 2/1/2020, 12:49
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(15 anni prima...)

La piccola alzò lo sguardo verso l'oscurità che impregnava il gran sotterraneo.
I due occhi giganteschi, due gemme che del loro antico verdognolo non avevano che un riflesso opaco, la osservavano attenti.
«Lo hai un nome?» chiese timidamente.
Il drago non si mosse, e lei non comprese se fosse perché non l'aveva capito - o perché di un nome non fosse stato mai graziato.

Dopo il primo incontro, aveva avuto così paura di quella sagoma che non aveva più nemmeno tentato di infilarsi nei passaggi segreti - al punto che Nike era rimasta male al suo rifiutarsi di seguirla per esplorare quelli dell'ala ovest, che non avevano ancora visto a dovere.

Si era fatta coraggio, era tornata - e l'Oscurità l'aveva attesa. Ma se nei suoi incubi questa la inghiottiva non appena si avvicinava, qui invece rimase quieta, vigile ma immobile. Si era lasciata toccare, dapprima con circospezione e man mano arrendendosi alla curiosità della giovane - che per la prima volta aveva scoperto che il buio aveva una forma concreta ed era caldo, come l'abbraccio della mamma, anche se non altrettanto morbida. No, l'Oscurità aveva squame, e alle dita pareva di toccare i lineamenti di un'armatura.

A lungo aveva fantasticato su quale potesse essere la sua storia. Alla fine si era decisa a chiederlo di persona.
Solo, l'Oscurità non aveva un nome: senza un nome come poteva chiederlo?

«Io mi chiamo Alma.»
Le avevano insegnato a rispondere a modo, era una principessa dopotutto, ma c'era una parte di lei che era convinta che lì sotto, probabilmente negli inferi -più vicino a dove si trovasse Eiua che non al castello- lei non fosse nessuno. Non una principessa, ma solo una bambina. Una bambina al cospetto dell'Oscurità.
Ma, nuovamente, l'Oscurità tacque.

Aggrottò le sopracciglia.
«Uh...se te ne dessi uno io?»

- - -

(oggi)

Gelda attese che il vociare della folla calasse, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione al palco.
Alma reggeva ancora la spada sanguigna sollevata verso l'alto:
un'arma temibile, simbolo di un potere terribile
tanto quanto il male che l'umanità ed Atea stessa avevano dovuto affrontare.
Eppure, da lontano, la principessa sembrava ancora così piccola.
Così sottili, le dita strette sullo scettro, esili e pronte a venir spezzate.

La missionaria si chiese se sarebbe stata in grado di sopportare tutto ciò che ci si aspettava da lei.

«Figlia di Elise, benedetta di Eiua: sei qui per prendere il posto delle tue progenitrici?»

«Sono qui per prendere il posto delle mie progenitrici.
Per scacciare l'Eterno Nemico quando si presenterà.
Per proteggere le nostre terre e perpetuare la benevolenza della Dea
finché ella non mi richiamerà al suo grembo.
»

Poggiò la fronte sul fodero nel pronunciare il giuramento imparato a memoria, mettendo a tacere le domande che si affollavano nella sua testa - come chi lo avesse inventato, quanti lo avessero ripetuto prima di lei. Quanti vi avessero realmente creduto fino in fondo. Riaprì, per poco, gli occhi sbirciando il popolo. Il contadino sarebbe tornato a lavorare i campi, forse ricordando il nome della propria regina al solo scopo di maledire il raccolto andato male; i viandanti volevano lanciare uno sguardo alla fiera esotica prima del suo ingresso nell'arena che era il governo di un regno; le dame osservavano incantate cosa significasse essere lì, in quel vestito pregiato e stringere l'oggetto più importante di tutto il continente fra le proprie dita - non per quello che era, ovvero un'arma, ma un accessorio per ricordare a tutti del proprio status. Persino lo sguardo indecifrabile-sicuramente parte della cerimonia quanto un misericordioso tentativo di non mettere a disagio la principessa- gravava come una sentenza sulle sue spalle intirizzite dall'agitazione.

Alma sapeva che finita la cerimonia, sarebbe arrivato il vero dovere - quello che sarebbe durato l'intera vita.
Non rese quel momento più sopportabile.

«Provalo.»

Tama venne raggiunta da altri gran sacerdoti e sacerdotesse, quattro per lato. Ognuno tirò fuori un piccolo pugnale cerimoniale e passò delicatamente il filo lungo l'indice finché non fuoriuscì una goccia di sangue. Sollevarono la mano verso il cielo contemporaneamente: iniziò come una stilla di etere rossastro, liberatasi dalle dita, infine divenne un filo sottile scarlatto - un bagliore tagliente che si prolungava e innalzava verso e oltre le nuvole candide che tappezzavano il cielo.

Gelda si strinse a disagio nel suo mantello quando il filo sparì e -per un breve momento- il celeste del meriggio divenne rosso sangue e poi del nero più cupo: il giorno mutato in notte per capriccio della magia idomeana. La sua reazione riecheggiò qui e lì, sparsa nel vasto pubblico diviso fra chi già aveva visto questo rituale o ne aveva sentito parlare, e chi invece pensava fosse solo un'esagerazione o un trucco. Gelda apparteneva al primo gruppo, ciononostante non poté non avvertire brividi. Avvertì la mano confortante di Fatima sulla spalla, leggera, e parve di vederla sorridere al suo fianco con la coda dell'occhio - e anche se non era lì, non poteva fisicamente esserlo né mai avrebbe potuto, la donna sorrise appena. Era venuta fin lì per osservare la nuova regina, vedere se il regno avrebbe cambiato volto - e come. Non si sarebbe fatta intimorire da uno spettacolo - per quanto vivido esso fosse. Il cigolare delle porte massicce del Solco la riscosse dalle sue elucubrazioni: era arrivato il momento.

- - -

Volevi sapere perché fosse sotto nei sotterranei.
Adesso che lo sai, sarai pronta?


La domanda di Nike l'aveva lasciata all'epoca dapprima ammutolita, poi furibonda, e infine distrutta dalla disperazione. Erano passati diversi anni dal giorno fatidico in cui aveva scoperto la Verità, ed ora finalmente avrebbe saputo la risposta. Si voltò verso le porte che si aprivano, e Alma per un breve momento chiuse gli occhi nel sentire il tintinnare metallico tanto familiare di catene mastodontiche.

«Un colpo basterà.» disse, la voce di Tama ridotta ad un sussurro che si insinuò nella sua mente invece che spandersi nell'aria come prima. Dietro la maschera granitica, la voce doveva essere rassicurante, compassionevole: le risuonò invece un fulmine a ciel sereno.

Una parte di lei aveva segretamente voluto che fosse uno scherzo, un orribile scherzo ordito da chissà quale mente perversa che si sarebbe rivelato all'ultimo per quello che era: non ci aveva realmente sperato, ma in ogni caso non fu quello il caso.

La Verità che Nike aveva scoperto era la verità: Dubhàn era un sacrificio.

Il rituale dell'incoronazione non aveva nulla di realmente magico: nessun potere nuovo le veniva conferito. Elise, quando Alma ancora era piccolina, aveva scherzato dicendo che il giorno sarebbe arrivato in cui sarebbe divenuta Regina - e avrebbe ottenuto poteri magici per fare quello che voleva. Lei le aveva creduto, finché un giorno timidamente non aveva chiesto alla sacerdotessa Tama quanto di quello che le aveva detto fosse vero, e aveva imparato che non fosse nulla più che una cerimonia. Non è importante per te disse, ma per coloro che ti sono attorno.

Allora non aveva ancora imparato la Verità, e le parole la lasciarono semplicemente delusa. Mai come in quell'istante, nel guardare gli occhi verdi di Akor e il suo nero muso emergere dalle sale e venire illuminati dalla sottile mezzaluna bianca nel cielo, aveva provato un'amarezza così ripugnante alla coscienza che tutto quello che sarebbe successo lì sarebbe stato inutile. Che quella stupida recita in cui lei impersonava un'eroina che non era, e Dubhàn un quantomai improbabile nemico, non avrebbe avuto scopo alcuno se non essere parte della lunga, lunghissima serie di tradizioni e rituali di Idomea.

Con un gesto che non le parve nemmeno di compiere, la mano strinse l'elsa e l'altra sfilò il fodero per lasciarlo poi cadere ai propri piedi. Il riflesso del suo viso terreo ricambiò lo sguardo dalla lama cremisi.

- - -

Il Bianco era rimasto a fissare dal suo seggio con il mento appoggiato sulle sue dita intrecciate. Non aveva battuto ciglio al calare improvviso della notte, a differenza di Babas che si era addirittura lasciato andare ad un breve ma eccitato applauso - come se i ruoli si fossero invertiti, e l'ammiraglissimo fosse stato il più giovane ed eccitabile fra i due.

Non lo avrebbe mai confessato ad alta voce, men che mai in presenza di Barbablu, ma le parole che aveva detto prima l'avevano effettivamente scosso. E nello stesso momento in cui vide Alma sfoderare la spada, registrò un momento di esitazione che confermò il suo giudizio di prima.

La tradizione idomeana dettava che la regina rappresentasse il gesto compiuto dalla profetessa, uccidendo con la spada la prole di Ouroboros a significare la perpetua battaglia fiera contro il nemico dell'umanità. Che la principessa, per diventare regina, uccidesse un drago. Se già di per sé ridicolmente barbarico, Lathi lo riteneva addirittura ridicolo: si ometteva spesso un dettaglio importante, ovvero che il drago fosse incatenato e tenuto debole, e che non si trattasse tanto di un combattimento quanto di un'esecuzione. Solo una volta accadde che una principessa, la sedicesima, ordinò -contro peraltro il volere del padre e del clero- che il drago non venisse mutilato né tenuto sotto un giogo durante la cerimonia; si narrò di come lo scontro sia stato aspro e che per poco la giovane Dirlian non divenne la regina meno longeva di sempre, ma l'esperienza la rese tanto più saggia quanto più battagliera. Così si racconta: il Maresciallo aveva i suoi dubbi, al riguardo.

Alexios lanciò un'occhiata di sottecchi a Lathi, cercando di carpirne i pensieri, senza reale successo. Un suono ai propri piedi lo distrasse per un momento, ma prima di individuarne la fonte la folla ricominciò a far baccano e dimenarsi: il drago nero era emerso in tutta la sua imponenza, le due zampe anteriori e il collo legati da lunghe catene rette da coppie di guardie, che agganciarono a delle ancore in metallo davanti alla soglia prima di condurre il drago davanti al palco, prima di andarsene. Assieme a loro, Tama e il resto del clero si allontanò lasciando Alma da sola davanti al drago.

Babas scosse il capo, l'espressione poco convinta.
«Per essere Ouroboros, è in uno stato abbastanza pietoso.»
qualche idomeano lo udì e gli lanciò un'occhiataccia, ma non si azzardò a dar voce alla sua risposta.

Alexios annuì silenzioso. Lathi era come ipnotizzato, lo sguardo fisso sulla scena e sulla ragazza.

Attorno al padiglione di Wye, la folla si infervorò in attesa che Alma compisse il rituale e terminasse l'incoronazione, sulle sue gracili spalle le aspettative di una generazione nuova che sperava di vedere in lei una forza degna di quello che il regno aveva bisogno. Il drago iniziò a dimenarsi in risposta La pressione era insopportabile, speranza e paura in egual parte che si combattevano nei cuori di chi vedeva, anche in quelle rappresentazioni opache, un segnale più profondo. La mano della Dea che agiva e mostrava loro che il futuro era ancora luminoso.

Per questo, quando con un lampo argenteo il drago spezzò le catene, la folla rimase per un breve istante senza fiato e il silenzio più assoluto calò nel Solco.

Gli occhi sbarrati di tutti si chiusero poi di scatto in preda al dolore, quando il drago sollevò la testa al cielo e lanciò un ruggito tanto possente da annichilire i timpani della platea. Alma cadde all'indietro, intontita dal verso - non fosse stato per le innumerevoli giornate passate ad utilizzarla, le sarebbe scivolata dalle dita e caduta a terra, ma per riflesso condizionato la strinsero spasmodicamente anche quando il resto del corpo accusò la botta. La folla, dopo un momento simile di stordimento, iniziò a scalpitare e alcuni iniziarono a fuggire - ma nel caos molti finirono semplicemente per calpestare chi invece non si era ancora riavuto dallo shock.

Alexios strinse i denti e si alzò in piedi, sfoderando le due spade. Si voltò verso il Maresciallo. «Quei selvaggi...! Vado a risolvere questo macello!» Prima che Lathi potesse replicare, il Giudice spiccò un balzo e scese di sotto correndo verso il palco.

Un soffio di vento, un lampo rosso:
l'uomo si fermò appena in tempo, perché una sagoma piombasse davanti a lui tranciando con un fendente il suo cammino, sollevando una piccola nuvola di polvere dinanzi a sé. Ali di sangue baluginavano ancora alle spalle di Nike, che spazzò via la nube con un secondo fendente. Respiro affannato e occhi colmi di furore piantati sul Giudice, la Prima Paladina gli puntò contro la spada.

«Non pensarci nemmeno.»
«Ti sei bevuta il cervello? La ucciderà!»

Anche se una parte di lei strillava la stessa cosa, fu irremovibile. Lei scosse il capo senza distogliere l'arma.
«Non rovinerai la cerimonia.»
Alle spalle di Nike, sul palco, Alma non si era ancora rialzata - era strisciata allontanandosi dalla spada e dal drago nero, la bocca schiusa in parole che nel boato della folla e dei versi furibondi della bestia vennero irrimediabilmente perse.

«Non è una cerimonia, è una condanna a morte.
E stavolta a morire saranno la principessa, le vostre persone e chi è venuto a guardare questa farsa!
»
Cercò a scartare a lato della donna per superarla, ma lei fu più veloce e con un calcio fulmineo lo ricacciò indietro.

«Non succederà.»
Uno sguardo determinato, un voto di fiducia in Alma.

Nei suoi anni di servizio, però, Alexios aveva imparato due cose.
La prima era che l'obbedienza cieca in qualunque cosa esterna a Wye e al Maresciallo fosse mal riposta.

La seconda era che a volte gli uomini erano sordi a tutto, meno l'acciaio.
Così sollevò le spade, rispondendo alla posa aggressiva di Nike.

- - -

Gelda si riprese dopo qualche momento, circondata da persone tutte attorno a lei che erano ranicchiate tanto dal dolore quanto dal terrore. Si scoprì anch'essa a tremare: scossa com'era dal momento improvviso di puro orrore e poi dal tuono, le era parso si spaccasse la testa. E ora, nella calca delle persone che si formava attorno a lei, le parve di star annegando.

«Eiua, ti prego, Eiua, non farmi morire così! Non così!»
Un uomo alle sue spalle bisbigliò la preghiera frettolosamente cercando di sollevarsi per andarsene; la missionaria si spinse ad agire. Congiunse le mani al proprio petto e invocò il potere della luce, e Fatima manifestò in lei un'aura candida. Come una cupola di tenue luce, si espanse da lei e placò gli animi degli astanti al suo interno - una piccola porzione della platea, che attorno a loro infuriava, divisa fra chi voleva andarsene e chi era paralizzato dall'orrore. «Non abbiate paura. Restate calmi. Siete al sicuro, la luce è con noi.» La sua voce, limpida nel caos, raggiunse Cassius, Raoul e gli altri.

Poco fuori dalla cupola, sugli spalti più in basso, Lathi e Babas rimasero fermi, così come i loro uomini stretti attorno a loro per impedire che la calca li travolgesse.

«Oh, l'hanno fatta grossa...»
Babas si attorcigliò la barba. Non aveva affrontato un drago da tantissimi anni, e l'incontro ravvicinato con l'Emissario prima della tregua di Loralbuer lo aveva convinto che fossero creature da semplicemente lasciare in pace. Lathi si rigirò i due globi di mercurio fra le dita, continuando a fissare meditabondo il palco, scrutando la giovane regina. Era convinto che se Alexios non fosse riuscito a raggiungerla, sarebbe morta. Una parte di lui, però, sperò che si rialzasse.



gideon-icon
PdV: Gelda, la missionaria
QM POINT:
La cerimonia procede regolarmente...finchè il drago non spezza le catene. Emana un ruggito che scatena un'ondata offensiva mentale ad area che se non difesa appropriatamente infligge danni medi mentali. Da qui è caos, e la folla inizia a cercare di fuggire: specialmente negli spalti più lontani la gente se ne andrà via trascinandosi i malcapitati in mezzo.

Chiunque può vedere l'evocazione delle ali di sangue di Nike e il suo volo rocambolesco fino ad interrompere bruscamente il tentativo di Alexios di salvare Alma, così come la scena ai piedi del palco. Parimenti si riesce ad intravedere la cupola di luce evocata da Gelda la missionaria, (in cui si trovano Cassius e Raoul), dentro la quale le persone vengono sanate dei loro danni.

Agli altri è data carta bianca su come (re)inserirsi in questo contesto, potete contattarmi in privato o nel topic in Discussione (dove potete peraltro mettervi d'accordo fra voi) per delucidazioni o suggerimenti sul come fare.

La situazione è caotica, e la scelta su che fare, come/se intervenire e così via sta a voi. Se intervenite in maniera diretta, ricordatevi di utilizzare uno specchietto - vale anche per i personaggi secondari.

E dopo avervi smollato un drago ne approfitto per augurarvi un buon anno :wow: lo scadere del post è alle 23.59 dell'11 Gennaio.
 
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view post Posted on 11/1/2020, 21:44
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2


Sherwood,
Molti anni prima


L'adolescente aveva un volto costellato di lentiggini e un paio d'occhi colpevoli che sfogliavano, corrucciati, il pavimento di pietra.
«Perché l'hai fatto, Cassius?» La voce roca di Virgil, il Gran Merlo, dava prova della sua veneranda età. Gli occhi velati dell'anziano sacerdote guardavano il giovane proselito senza vederlo. Sembravano invece penetrargli la pelle e studiargli direttamente l'anima tramite l'affilato bagliore pallido della loro luce spettrale.
Cassius si strinse nelle spalle. Un gesto inequivocabile che Virgil non ebbe modo di osservare né tantomeno interpretare. Non era la prima volta che il ragazzo dai riccioli d'oro veniva sorpreso in un bordello. Quella notte però aveva avuto la sfortuna di essere stato colto sul fatto da quel leccaculo spione di Hank. Ed ecco il motivo per cui adesso si trovava a tu per tu col Gran Merlo, a dare spiegazioni per il suo operato. Eppure, a Cassius non sembrava di aver fatto niente di male. Non gli pareva la fine del mondo pagare per una sana scopata. Nemmeno per una persona religiosa. D'altronde tutti gli uomini erano fatti per quello.
Il ragazzo aveva sempre considerato le costrizioni religiose, che tra le altre cose impedivano, difatti, il sesso, delle mere formalità di pomposità. Inutile fanatismo, in parole povere. Che importanza avevano, dopotutto? Non ti facevano essere un religioso migliore né ti donavano l'abilità di amare con più facilità il prossimo (anzi!) se le eseguivi alla lettera. Erano regole del cazzo e Cassius era oltremodo convinto che anche i due sacerdoti chiusi in quella stanza assieme a lui, sotto sotto, concordavano con le sue idee. Solo non potevano ammetterlo apertamente.
I limiti che imponeva il sacerdozio erano troppi perché qualcuno sano di mente accettasse, volontariamente, quella vita circoscritta. Nessuno avrebbe mai imboccato la strada del culto della Luna Nera se i suoi adepti avessero veramente proibito, e di conseguenza punito, chi disobbediva ai loro numerosi, ligi, divieti. E se così fosse stato i sacerdoti dell'ultima benedizione si sarebbero estinti già dopo le prime generazioni. E invece, guarda te il caso, il loro credo continuava ad esistere da centinaia di anni.
L'umidità della camera gravò come un macigno sulle spalle delicate di Cassius. Un colpo di tosse sfuggì dalla sua bocca in una nuvola di vapore. Sollevò gli occhi, incrociando dapprima quelli accoglienti di Cuthbert per saltare poi in quelli del Gran Merlo. Si sentì artigliare il cuore dal suo sguardo cereo. Le pareti della stanza parvero stringerglisi addosso, braccando il suo corpo.
Virgil trasse un profondo sospiro. Non sapeva più cosa fare con la testardaggine di quel ragazzo.
«Per quale ragione hai scelto questa vita?» Si inumidì le labbra screpolate con una lingua scura come quella di un bue «Per disonorare il nostro Credo?».
Cassius sbuffò.
Era stato il secondogenito di una numerosa famiglia contadina che aveva abbandonato all'età di dodici anni, fuggendo via il più veloce possibile da una vita di responsabilità, fatica e soprattutto stenti. Non era uno sprovveduto e non lo sarebbe mai stato. Quanto a farabutto diciamo che tutto sommato non lo era allora e forse non lo sarebbe mai stato. Ma tutto dipendeva dai punti di vista, come sempre. Cassius era un adolescente maturo che dimostrava un modo cinico tutto suo di interpretare ed affrontare l'esistenza. Rispetto ai suoi coetanei infatti non aveva mai desiderato diventare cavaliere perché troppo pericoloso né tantomeno avrebbe accettato una vita da rattoppato bandito di periferia poiché troppo faticosa. Aveva avuto le idee chiare fin da bambino: vivere nella bambagia offerta dall'onorata strada del sacerdozio. E quale miglior culto se non quello dell'ultima benedizione?
«Per convenienza» Lo sfidò Cassius.
Cuthbert esplose in una grassa risata che riempì la stanza assieme a quella del giovane proselito. Di contro, l'espressione del Gran Merlo manifestò una sconfinata incredulità. Una plateale, seppur corrucciata, espressione di sconfitta si dipinse sul suo volto rugoso.



~ • ~



Il Secchio Rovesciato (taverna) - Idomea,
Quella mattina


«...Il resto alla consegna»
Il sorriso di Rogester si allungò sul volto, affilandosi come la punta delle sue orecchie. Prese la sacca delle monete e la soppesò sommariamente per qualche istante. Rivolse quindi a Cassius un largo cenno di consenso e gli strinse la mano.
«Non sei l'unico ad avermi ordinato questo genere di carico, sai?» Lo disse con uno sguardo malizioso e un tono di voce a malapena udibile. Il Gran Merlo aveva già conosciuto Rogester in altre occasioni e sapeva quanto gli piacesse parlare troppo. Forse perché credeva che gli desse una parvenza di potere, questa cosa del rivelare segreti per incuriosire persone ignare. Magari pensava che queste poi pendessero dalle sue labbra, pregandolo per più dettagli. Un vizio di cui Cassius si domandava seriamente come non gli fosse ancora costato la vita.
«Credo che ci sarà da divertirsi oggi alla cerimonia» Il sacerdote non l'avrebbe creduto possibile eppure il sorriso dell'elfo si allargò ulteriormente.
«Sarai presente anche tu?» Chiese il Gran Merlo con un tono piatto, più per galateo che per vivo interesse. Non avrebbe mai ammesso a Rogester il suo sbalordimento per la notizia che qualcun'altro si era rivolto ad un ricettatore per un carico di armi. Che qualcosa di grosso stava bollendo in pentola era ormai cosa certa, e quel fatto ne era la prova lampante. Sempre che l'informazione fosse vera, s'intende. Eppure i modi subdoli dell'elfo sembravano sinceri nel suggerire che il carico di armi e la cerimonia erano in qualche modo collegate. Il fervente desiderio di sapere rimase sepolto sotto l'espressione vuota di Cassius con difficoltà.
Il sorriso tronfio sparì dal volto di Rogester come se il suo interlocutore l'avesse schiaffeggiato. Scosse la testa lentamente, piegando lo sguardo verso le proprie mani «Non essere sciocco, Cassius. La gente è stufa di questa lunga pace infruttuosa».
L'elfo giocherellava con una corona, rigirandosela tra le dita con tranquillità, nonostante i numerosi sguardi d'appetito che i commensali della taverna gli lanciavano «Basta un minimo di buon senso per rendersi conto che la cerimonia sarà un evento fin troppo pericoloso per parteciparvi».
Un cipiglio, anch'esso appuntito, eruppe sul volto di Rogester mentre si voltava verso Cassius «A proposito di pericoli. Avvertirò io personalmente il tuo attendente a Sherwood sul luogo e il giorno in cui il carico arriverà».
Trafisse con uno sguardo di fuoco il foglio di carta arrotolato che Cassius tamburellava sul tavolo «Non mi piacciono le lettere».



Anfiteatro - Idomea,
Presente


«Resta qua e aiuta Gelda con i cittadini»
«Ma Cassius...» Il sacerdote dalla pelle scura era ancora scosso dal ruggito del drago.
«Andrà tutto bene» Tagliò corto il Gran Merlo. Si divincolò facilmente dal suo compagno, avvantaggiato dalla propria lucidità. I suoi occhi seguivano con interesse il teatrino alla sua destra, dove Nike e Alexios stavano discutendo animatamente. Era una mossa avventata, quella che aveva in mente il sacerdote anziano, ma con la quale avrebbe potuto acquistare credito nei confronti di Idomea. Di contro, avrebbe potuto mettere in una ancor più cattiva luce se stesso agli occhi dell'Alleanza. Inoltre c'era la questione di un drago a piede libero. Una pedina imprevedibile che rendeva dannatamente più rischiosa qualsiasi mossa sulla scacchiera. Eppure Cassius non ebbe esitazioni. Non aveva più niente da perdere, dopotutto. Lui era un vecchio decrepito e in gioco, dietro le quinte, c'erano individui ben più capaci e validi di lui. Anche più di quanto era mai stato, persino da giovane. E se un tempo era stato utile come un alfiere, ora valeva come un banale pedone. Sacrificabile.
La cerimonia doveva proseguire senza intoppi, questa era l'unica necessità. Lui aveva il profondo bisogno di osservare e di capire chi e quanti si fossero messi in gioco, e perché.
Il Gran Merlo mosse passi rapidi verso Nike e Alexios. Si fermò alle spalle della Prima Paladina, richiamando l'attenzione su di sé con un colpo di tosse. Sorrise ai due.
«Come pensate che reagirà un drago nel vedersi di fronte un uomo armato che cerca di abbatterlo?» Si rivolse ad Alexios con un tono rilassato, come quello di un padre che cerca di far ragionare il proprio figlio sventato.
«Non credete anche voi che perderà la testa completamente?» Ricorse a gesti affettuosi della mano per fargli digerire meglio la pesantezza di quelle parole che altrimenti avrebbero lasciato troppo amaro nel suo orgoglio.
«E questa eventualità sarebbe troppo pericolosa visto che così noi perderemmo qualsiasi possibilità di controllo sulla situazione» Guardò Nike in cerca di appoggio.
«Sarebbe il caos totale e non solo la vita di Alma ma quella di tutti i presenti sarebbe doppiamente più a rischio rispetto ad ora» Tornò a guardare Alexios per valutare una sua potenziale reazione. «E' questo che volete?» Alzò il mento, squadrandolo dall'alto.
«No, immagino di no. Dobbiamo intervenire, questo è vero, ma solo se e quando la situazione si metterà veramente male e in ogni caso la priorità sarà scortare la principessa, e tutti i presenti, fuori dall'arena e il più lontano possibile dal drago» Posò il proprio sguardo negli occhi di Lathi, alle loro spalle.
«Ma non credo che un soldato impulsivo rappresenti la persona più adatta per questo delicato compito» Inarcò le sopracciglia. Avrebbe creduto di provare paura per l'intera durata del suo discorso ma così non era stato. Si era sentito come strappato via dal proprio corpo e gettato a miglia di distanza, ma niente di più. Non aveva avuto timore, facendo affidamento su parole ben più solide delle sue ossa.
Concentrò un'ultima volta lo sguardo negli occhi di Alexios pregando di placare del tutto l'impeto improvviso del guerriero.
«Come posso servirla, mia signora?» Chiese infine a Nike.




Cassius
il Gran Merlo



Energia: 100 - 10 - 20 = 70%
Salute: 100 (Illeso)
Equipaggiamenti: piccolo pugnale (arma da mischia) nascosto nelle tasche della tunica

CAPACITÀ ATTIVE (Slot: 0)

GENERATORI ATTIVI

TECNICHE ATTIVE

Benedizione delle ombre (2)
(medio - 10)
La mente dei Merli è protetta dai flussi lunari. Questa protezione rende difficile poter ferire la loro mente, concedendo ai sacerdoti la capacità di difendere la propria salute mentale da influenze o offensive mentali. Il suo potere è pari al consumo speso in energia.

Calma
(alto - 20)
I Merli possono ricorrere ad una tecnica mentale atta a calmare un determinato bersaglio. La tecnica è da considerarsi una fattura comportamentale che, se non difesa adeguatamente, sprona il bersaglio ad interrompere il combattimento. In quanto tecnica di fattura non causa danno. Il suo potere è pari al consumo speso in energia.

~


Cassius riesce a difendersi egregiamente dal boato del drago in quanto si era aspettato che qualcosa di grave sarebbe potuto succedere, alla cerimonia, ed aveva pertanto seguito gli eventi minuziosamente. Avvantaggiato dalla lucidità mentale, abbandona Raoul (che perde un turno per riprendersi) col gruppo di Gelda. Si immischia quindi nella discussione tra Nike e Alexios, lanciando una fattura mentale ad Alexios nella speranza che questa lo calmi.

 
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view post Posted on 7/2/2020, 12:55
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Sono rimasta sola.
La giovane regina fissava con occhi vitrei la sagoma folle del drago, l'ombra di un mostro gettata sul futuro incerto del suo popolo, lo spettro di ciò che un tempo considerava suo amico. Tra le dita stringeva la sacra Reliquia del suo popolo, un'arma di ineguagliabile forza, eppure le sue gambe sembravano non riuscire a sostenere il peso del suo corpo, come una bambina spaurita. Era abbandonata nelle correnti dell'emozione e nessun suono, se non la voce della sua stessa anima, avrebbe potuto destarla dal torpore.
Le urla provenienti da ogni parte dell'anfiteatro si mescolavano tra i suoi ricordi, riportandola in un altro luogo, un altro tempo. Si sentì piccola di nuovo, come quel giorno sulla balconata, quando un invasore giunse a Idomea per porre fine alla sua felicità per sempre.

Da quel giorno non ho mai sentito nient'altro che urla.
Le urla dei feriti nell'esplosione, le urla dei cavalieri, le urla della gente desiderosa di vendetta. Gli insulti e le maledizioni rivolte a tutti noi, che non siamo degni del nostro nome o del nostro sangue, perché ci siamo piegati all'invasore e accettato l'umiliazione della pace.
Sento ancora le urla di mia madre.
Rimbomba tra le sale dei miei ricordi come faceva tra le stanze vuote del palazzo. Sento i suoi passi vibrare attraverso il pavimento di marmo e so che sta per arrivare la punizione di un crimine che non ho commesso. Sento i suoi schiaffi e vedo le sue lacrime, oltre alle quali ci sono due pozzi d'odio. Perché? Perché, madre? Perché mi hai lasciato da sola? Io non ho fatto niente per meritarmi tutto ciò. Voglio solo fare ciò che ci si aspetta da me. Voglio ridare speranza alla gente, voglio scacciare le fiamme della guerra. Perché quindi tutti mi abbandonano?


Alma girò il capo verso gli spalti in cerca d'aiuto.
Vide Nike, la sua spada sguainata in direzione di un uomo. Perché non mi stai aiutando? Pensò. Attorno a lei gli spettatori stavano cercando di uscire dall'anfiteatro freneticamente, calpestandosi l'un l'altro e impedendo ai soldati di invadere l'arena. Le guardie reali puntavano le loro lance verso la bestia inferocita, che schioccava la coda e le fauci con frenetica violenza, cercando di sfuggire ai suoi padroni. Per quanto sbattesse le ali infatti non avrebbe mai potuto alzarsi in volo, era deturpata, cresciuta solo per morire. L'unica cosa che importava era il suo sangue. Come sempre, a Idomea.
Oltre a Nike e il soldato di Wye, ancora seduto sul suo scranno, il Bianco la guardava fisso. Il suo unico occhio argenteo brillava con severità: non era più lo sguardo benevolo del ragazzino di dieci anni fa. Alma non aveva compreso niente di lui allora e anche in quel momento gli si sarebbe voluta scagliare contro, brandire tutto il dolore e la sofferenza subita a causa sua e colpirlo con inaudita violenza. Avrebbe voluto pugnalarlo con la Spada Sanguigna e vederlo soffrire in quei pochi interminabili attimi che anticipano l'inevitabile maledizione del dissanguamento. Strinse la Reliquia nella mano e si sentì pervasa da un calore, una rabbia primordiale.
Poi, una voce.

« Perché mi stai guardando così? »
La voce di sua madre echeggiava tra i suoi pensieri.
« Perché io? » Ancora, la voce di Elise Eosfilia trasparì chiaramente. « Perché devo uccidere tutto ciò che mi è caro? Chi rimarrà ad aiutarmi? »
« Casimir è morto. Sono da sola. Mi hanno tolto tutto. Non possiamo vincere. Ci sgretoleremo come sabbia al vento e niente rimarrà della nostra storia, delle nostre tradizioni. Ma non possiamo combattere, ci schiacceranno tutti, come a Caltrisia. Tutti quei morti, per colpa mia. No. No!
Dev'esserci un modo. Un modo per fargliela pagare. Non riposerò finché non l'avrò trovato.
Pagheranno, tutti loro. Pagheranno per quello che ci hanno fatto!
»
Alma sgranò gli occhi, colta da una rivelazione. Davanti a lei, Dubhàn ruggì furiosamente.

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Non era Elise. Quella era la sua stessa voce. La voce di Alma.
Era proprio come sua madre. Una regina maledetta dalla disgrazia, incapace, folle. C'era solo odio nel suo cuore e davanti ai suoi occhi non vedeva alcunché, se non sagome di terrore e sospetto, circondate da un torrente di sangue. Era il sangue versato dalla sua famiglia, era il suo destino. La guerra, Caltrisia, tutto quanto -era tutta colpa loro. Cosa poteva fare lei? Era solo una ragazzina, incapace di brandire una spada.
Eppure, perché? Cosa voleva lui, da lei? Quel mostro. Quel demonio. Le aveva rubato tutto. Quindi perché?
Perché mi stai guardando così?!




« Ora basta. »
Il Maresciallo Supremo dell'Alleanza di Wye batté l'indice sul bracciolo del suo scranno. L'influenza mentale di Cassius fu annichilita in un istante, come se la sua presenza fosse stata stritolata dalla mano di un titano. Lathi non si degnò nemmeno di voltare lo sguardo verso l'intruso e così fece anche per i due famosi spadaccini. I più leggendari guerrieri ancora in vita stavano ai suoi piedi, entrambi pronti a battersi per cause superiori, eppure Lathi non riuscì a prestare loro un briciolo d'attenzione oltre a poche, semplici parole:

« Riponete le armi e guardate.
La morte di una regina.
»

Alexios rinfoderò le sue spade, restando in silenzio. Avrebbe dovuto compiere il saluto verso il suo diretto superiore, ma invece non fece alcunché. Fissò Nike con rassegnazione e un briciolo di disprezzo. Le ali sanguigne che fuoriuscivano dalla schiena della paladina si sbriciolarono fino a scomparire.
« Non morirà. »
« Prendi questo inumano e allontanati, donna. »
Nike lo ignorò, rivolgendosi invece a Cassius. Lo prese sotto braccio e iniziò a scendere le gradinate che portavano verso l'arena. « Sei stato coraggioso, volpe. Ma non dobbiamo, non possiamo, intervenire. La salvezza della popolazione dovrebbe essere la nostra unica priorità. » Nike incrociò lo sguardo di Alma e una fitta le strinse il cuore. « La profetessa Selene ha combattuto da sola il Dio Drago mille anni fa. Guidare questa nazione richiede lo stesso ammontare di coraggio. » il suo tono si fece greve e lasciò la presa sul braccio di Cassius, voltandosi per guardarlo dritto negli occhi. Le sue parole erano fin troppo calme considerata la situazione, eppure l'inumano avrebbe potuto percepire un sottile quanto letale tono di minaccia. « Il mio nome è Nike, Prima Paladina del Regno. Hai dimostrato coraggio, ma non lasciare che questo si trasformi in stupidità. »




Alma alzò la mano verso Dubhàn, il drago.
Il suo volto era privo d'emozione, freddo e candido come quello di una bambola. La tempesta nel suo cuore aveva lasciato spazio al silenzio.
Vieni, allora. Fallo.
Tutti coloro ancora rimasti nell'anfiteatro rimasero col fiato sospeso.
Il drago allungò le fauci verso Alma.
QM Point

La scena continua come descritto. Alma apparentemente si arrende alla sua debolezza e non riesce a colpire Dubhàn, che si appresta ad azzannarla. Questo attacco va considerato come una tecnica di potenza alta.

Cassius: la tua tecnica mentale viene stroncata dal Bianco, la cui attenzione è stata risvegliata grazie al tuo intervento. Il suo ordine scongiura uno scontro tra di due guerrieri rivali. Nike quindi ti prende sotto braccio e ti porta poco lontano dal baldacchino dedicato all'Alleanza di Wye. Ti consiglia e ti ammonisce. Se vorrai intervenire per salvare la regina dovrai trovare un modo di aggirare la Paladina.

Altri: potete ancora intervenire liberamente nella scena, anche inserendovi da questo turno, come sempre. L'anfiteatro si sta svuotando e soltanto chi è interessato al destino della regina più della propria vita è rimasto seduto sugli spalti. Tra questi, oltre alla delegazione dell'Alleanza di Wye (Il Bianco, Alexios il Giudice e Barbablù, ammiraglio di Loralbuer), c'è la delegazione dei Figli delle Statue, Gelda la Missionaria che rappresenta L'Ordine dei Mirari e un vecchio misterioso, le cui fattezze sono celate da un cappuccio. Costui è Jivanmukta, il cui vero nome e aspetto è Dantalion, il capofazione dei Mangiasegreti.
Attorno a Dubhàn sono schierate delle guardie reali di Idomea che cercano di impedire al drago di lasciare l'arena, circondandolo con le loro lance. Questi guerrieri non riusciranno a fermarvi se intendete salire sull'arena per proteggere la regina.
Potete interagire liberamente con ciascuno di questi elementi o intervenire nel dialogo tra Nike e Cassius, oppure cercare di salvare Alma. Se volete intraprendere dialoghi segnalatelo nel topic di Discussione della quest.


Edited by Snek - 26/4/2020, 17:17
 
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view post Posted on 14/2/2020, 15:19
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Precisazioni: Non è importante ai fini della trama però Cassius (ma più in generale tutti i Merli) è umano a tutti gli effetti. E' un vecchino di ben 76 anni, spelacchiato.

Per convenzione tutti i dialoghi dei personaggi secondari comparsi in questo post sono di colore grigio onde evitare di appesantirne l'aspetto grafico.

Buona lettura!

3


Red Rock - Distretto centrale di Birmingham,
Qualche anno prima della crisi di Caltrisia


«-I nostri affari non verranno intralciati»
In tutta la sua esistenza Ramon Alvarez non aveva mai incontrato qualcuno con una voce tanto roca quanto quella del pelleverde. Sembrava che gli fosse letteralmente rimasto intrappolato un groppo in gola. Una volta, dentro uno dei suoi bordelli, il nano più famoso di Birmingham aveva sentito una voce secondo la quale il grugnito dell'orco più ricco della città era dovuto alla sgraziata deformità della mascella. Troppo larga, troppo pronunciata, troppo rozza perfino per un comune pelleverde. Era talmente tanto ingombrante da avergli perfino scombussolato l'ordine della dentatura nonché la conformazione stessa di tutta la cavità orale, donandole una cassa di risonanza grave oltreché un dolore persistente che Andolini si portava dietro da sempre.
Lo sguardo di Vitius l'orco trafisse quello di Ramon il nano, quasi come se avesse captato i suoi pensieri.

«E come puoi essere certo di ciò?» Vincent Gifford scuoteva il capo. Era noto per non fidarsi mai di nessuno. D'altronde, per i suoi particolari traffici in città, quello era un prerequisito fondamentale. Nessun dubbio in merito, bastava infatti analizzare la facilità con la quale in soli cinquant'anni quell'elfo mingherlino aveva sbaragliato a tal punto la concorrenza negli affari da essere arrivato ad un solo, minuscolo, passo dall'avere il totale controllo di ogni traffico commerciale della città. La Mano Nera di Birmingham era stata istituita proprio al fine di arginare il suo potere di conquista. A suo tempo Gifford, per non ritrovarsi contro tutte e cinque le famiglie più potenti della città, era stato costretto a chinare il capo e ad accettare un accordo, diventando parte stessa della Mano. Non si poteva dire che gli fosse andata poi così tanto male, dopotutto. Di Vincent, però, ormai non rimaneva che l'ombra arrugginita dell'elfo di un tempo, la cui risolutezza si perdeva nei meandri del groviglio confuso delle numerose rughe. Alle sue spalle il figlio Herbert annuiva ad ogni parola.

«Soldi, Vincent» Eugene Zal rovesciò gli occhi all'insù, rimarcando la sua infinita scocciatura con un lungo e profondo sospiro «Non si abbasserebbero mai a stringere accordi con noi se non per soldi» Parlò lentamente come se stesse spiegando ad un bambino un concetto oltremodo scontato «Se avessero voluto annientarci non sarebbero venuti di certo a proporci un accordo, non trovi?» Allungò il proprio volto butterato verso quello dell'elfo, dall'altra parte del tavolo, sfidandolo. Il naso di Zal era così grosso da mettere in ombra gran parte del viso affilato di Gifford. «Le nostre amate corone che fino ad oggi abbiamo dato alla Regina, da domani le verseremo nelle casse del governo di Wye» Si sistemò con parsimonia la criniera violacea che spuntava dalla cresta del suo cranio rasato «Non siamo nient'altro che soldi facili per loro perciò io dico chi-se-ne-frega e scegliamo la soluzione meno rischiosa per noi» E in un'alzata di spalle impulsiva sentenziò la propria decisione «Io voto per aprire le porte di Birmingham all'Alleanza di Wye»

«No, no, no voi siete tutti pazzi» Proruppe Vincent. Dietro di lui Herbert annuì marcatamente «Io non mi fido di nessuno di voi, perciò io dico che dobbiamo continuare a sostenere Idomea come Birmingham ha sempre fatto»

«Anchio dico così, cazzo!» Si intromise Ramon Alvarez, soffiando contro l'orco alla propria destra.

«Beh, la mia decisione la sapete già tutti. D'altronde sono stato io a raccogliere la proposta dell'Alleanza. E mi sembra piuttosto valida» Gli occhi di Vitius Andolini si staccarono con difficoltà da quelli del nano seduto alla sua sinistra. Presero quindi posto nello sguardo distratto dell'uomo vestito di nero che fino a quel momento non aveva ancora preso parola «L'ago della bilancia pende dunque dalla vostra scelta»
Il Gran Merlo si riscosse dal torpore, stiracchiandosi. Si alzò in piedi e percorse un mezzo giro intorno alla tavola rotonda. Appoggiò quindi i pugni sulla superficie di legno massello e si protese verso il centro della stanza di modo che tutti potessero pendere dalle sue labbra.

«Io dico che dobbiamo chiudere la porta in faccia all'Alleanza oltreché tradire Idomea»
Cassius passò in rassegna i volti degli altri quattro membri della Mano lentamente,
sperando che le sue parole facessero breccia nei loro cuori.
«Io credo che sia arrivato il tempo di governarci da soli»




~ • ~



Anfiteatro - Idomea,
Presente


La sua tecnica mentale, l'abilità più potente di tutto il suo armamentario, quella di cui andava fiero e che aveva utilizzato più spesso nella propria vita, con sconfinato successo, venne soffocata con così tanta facilità da lasciarlo completamente spiazzato. Con la stessa semplicità con la quale si schiaccia una mosca. In quel preciso istante Cassius raggiunse la consapevolezza della reale grandezza dell'Alleanza di Wye nonché dell'abissale differenza tra le loro capacità e quelle dei Merli di Birmingham. Superava di gran lunga qualsiasi sua stima. Gocce di sudore solcarono le rughe del suo anziano viso.

La scena si sviluppò in sottofondo e Cassius non carpì niente fino al momento in cui la Prima Paladina gli strinse un braccio, riportandolo alla realtà. Il vociare degli spalti tornò a riempirgli le orecchie, dandogli concretezza come una boccata d'aria dopo un tuffo troppo profondo, e le parole di Nike riuscirono in parte a rincuorarlo. Non era solo, almeno questo. Per il momento aveva trovato un alleato che lo avrebbe forse difeso, quel giorno; qualcuno che tutto sommato apprezzava l'avventatezza del gesto che aveva appena compiuto. Le sorrise. Era molto bella.

Diede un ultimo sguardo in direzione del gruppo di Gelda, mentre scortava la Prima Paladina verso l'arena, ma non riuscì a trovare Raoul da nessuna parte. Probabilmente se l'era data a gambe e, considerando i fatti, se davvero fosse stato così non sarebbe stato da biasimare. Per niente una cattiva idea. Cassius si trovava invece compresso tra incudine e martello, tra un drago libero da un lato ed un mostro umano dall'altro.

«Non temete» Si rivolse a Nike «Non era e non sarà mia intenzione interrompere la cerimonia» I suoi occhi tornarono a posarsi al centro dell'arena e ciò che vide sembrò mettere definitivamente in discussione tutte le scelte che il Gran Merlo aveva fatto quel giorno «Il mio nome è Cassius» Rispose con cortesia alla presentazione della Prima Paladina, ma in una maniera del tutto automatica «Sono il sacerdote di un culto di Idomea che continua la propria missione di fede in un territorio strappato via dall'Alleanza ai vostri domini» Ormai era in ballo, tanto valeva continuare a danzare.

Il drago spalancò le fauci e si gettò sulla principessa, l'ultimo baluardo di speranza per la libertà del popolo di Birmingham. Eppure Cassius aveva le mani legate e non poteva più intervenire in alcun modo. In altre occasioni non gliene sarebbe importato niente della vita di Alma Eosfilia ma quel giorno si era immischiato in cose ben più grandi di lui e si rese conto di star rischiando esso stesso tanto quanto la principessa di Idomea su quel cazzo di palco.

«E sarò sempre al servizio del Regno!»
Esclamò con un filo di voce.





Cassius
il Gran Merlo



Energia: 70%
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~


Cassius rimane sbalordito dalla facilità con cui Lathi spezza la sua tecnica mentale. Costretto dalla scelta di schierarsi a favore della Prima Paladina del regno non può intervenire in alcun modo per salvare la principessa. Non che la cosa si sarebbe evoluta diversamente in altre circostanze, molto probabilmente.

Il primo spezzone è invece un elemento di bg che serve ulteriormente a delineare il personaggio del Gran Merlo e i suo rapporti con Idomea e Alleanza.

 
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view post Posted on 28/3/2020, 05:00
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L’intero Solco piegò la testa quasi contemporaneamente in ricordo della defunta Regina Elise. Non Davorin, che sfruttò quel momento per studiare i presenti all’incoronazione di Alma.
Guarda i Jin, anche i Figli delle Statue sono venuti a Idomea. Lì, quello è Keshet.
La voce, anzi il pensiero, del Jin vibrava di eccitazione.
Non emozionarti Azazel. Quei due invece non sono gli Elfi che si spartiscono Duan?!
Non ricordo i nomi, ma sono senza dubbio loro. Quella donna è Gelda invece, sembra brillare della luce di Fatima... tragica storia la sua.
Il marito pazzo che le ha ammazzato i figli, me lo ricordo. Invece sai chi è quel tipo laggiù?
Gli occhi del cavaliere esitarono sulla figura ammantata dal pesante telo che ne nascondeva i lineamenti, se non per le sottili braccia incrociate davanti il petto. C’era qualcosa che non andava in quell’uomo -in quell’essere-, qualcosa di profondamente… sbagliato.
No, ma hai visto dall’altra parte chi c’è?
Lo distrasse Azazel, e non gli ci volle molto per individuare chi, inconsciamente, aveva già notato. La chioma bianca, la benda a coprirgli l’occhio ferito, sulla curva del Solco di Sigerico opposta a quella dove loro avevano trovato posto sedeva Lathi.
Così vicino, eppure così lontano.
Il discorso di Tama, ripreso in quell’istante, nascose quel pensiero ad alta voce alle orecchie di chi stava accanto a Davorin.
Sarebbe bello, ma non è il momento. Procediamo con calma con il piano, solo un folle attaccherebbe il Bianco adesso.
Vuoi chiedere al marito di Gelda?
Davorin rise, mentre la folla esplodeva in un applauso all’ingresso di Alma. In centinaia gridavano il suo nome acclamandola.

Provalo.
Il Solco ammutolì, in attesa della prova che Alma fosse degna di aspirare al trono che fu di sua madre e delle sue antenate.
Allungò la mano e in un lampo rossastro apparve la Spada Sanguigna, l’arma benedetta dal sangue di Eiua con cui Selene sconfisse il Dio Drago. Grida, applausi, lacrime.
Anche Banedon affascinava un giovanissimo Davorin con quel trucco, richiamando Selene -la spada che ora pendeva al fianco del figlio- e ora lui, cresciuto, si allenava a ripeterlo per impedire di venir mai disarmato.
Davorin sorrise ma non si unì all’applauso; anche se troppo giovane per aver assistito all’incoronazione di Eosfilia innumerevoli volte aveva sentito i racconti su quella cerimonia.
Prima dell’atto finale di quel climax il rituale era quasi ipnotico: i Gran Sacerdoti accerchiarono la Principessa ferendosi, lasciando che il loro sangue ascendesse al cielo tingendo le nuvole bianche di rosso, trasformando poi il giorno in notte, gettando tutti nelle tenebre più profonde illuminate solo da quel bagliore rossastro tanto lugubre quanto, senza dubbio, scenograficamente eccelso.
Il rumore dei cancelli del Solco che si aprivano vennero soppressi immediatamente dal clangore delle gigantesche catene che obbligavano a terra il drago. Una creatura magnifica e fiera in qualsiasi altra circostanza, ma che avanzava ciondolante, indifeso, debole e già sofferente verso un destino crudele scritto secoli prima e diventato tradizione. Non che Davorin si sarebbe tirato indietro dall’uccidere un drago, se necessario, ma non così, così era un insulto alla nobiltà e alla storia di quella razza. Una manifestazione tangibile dell’arroganza dell’essere umano. Anche il sorriso sparì dal volto del cavaliere mentre sul palco rimanevano solamente il drago e Alma. Il sacrificio stava per compiersi.

Ma fu un attimo, e tutto cambiò: la bestia, enorme, sollevò il muso verso il cielo e cigolando le catene si spezzarono. Era libero, la progenie del Nemico rispose al silenzio glaciale calato nel Solco con un ruggito che spezzò i timpani dei più.
Cazzo.
Il panico esplose tra la folla, chi non era rimasto terra con le mani sulle orecchie ora fuggiva calpestando i primi, pochissimi ancora osservavano atterriti la creatura. Davorin scattò in piedi e vide un lampo rosso abbattersi sugli spalti a pochi passi da dov’era Lathi. Nike, la Prima Paladina, si era frapposta tra il palco e Alexios quando quest’ultimo si era mosso come a voler intervenire. Le persone colpivano Davorin fuggendo, mentre lui a passi lenti e misurati camminava verso il palco, gli occhi che saettavano tra il gargantuesco drago nero e la scena che vedeva impegnati i due migliori guerrieri di Atea. Non molto distante apparve una cupola luminosa, generata da Gelda, che sembrò abbracciare buona parte della platea calmando tutti coloro abbastanza fortunati da trovarcisi sotto.

Alma era a terra, e Davorin sentiva come se si stesse muovendo rallentato mentre scendeva i gradoni del Solco tanto la situazione era diventata surreale. In pochi secondi l’esecuzione si era trasformata negli ultimi attimi di vita di una Principessa criticata ancor prima di raggiungere il trono, perché con Nike impegnata a fermare Alexios niente lasciava suggerire che Alma potesse uscirne viva.
L’uomo vide lo sguardo della ragazza, e riconobbe ciò che aveva provato lui quando dieci anni prima Caltrisia era stata rasa al suolo: paura. Non perché stavano morendo in quell’istante, ma perché lo stavano facendo abbandonati da tutti. Avevano, in ogni caso, perso ogni cosa.
Davorin nel bosco verso Idomea, con le urla della gente che lo aveva accolto nelle orecchie, la puzza di morte e carne bruciata nelle narici, la consapevolezza che Banedon fosse morto.
Alma su quel palco, sotto gli occhi del suo popolo, sotto lo sguardo di Lathi che aveva condannato Idomea a una pace umiliante, la madre morta e Nike troppo lontana da lei.

In un attimo di lucidità il cavaliere iniziò a correre. Le guardie avevano circondato il palco e puntavano le lance verso il drago, non vedendo l’uomo che scendeva gli spalti saltando i gradoni a due a due.
Davorin! FERMATI! Hai visto cos’ha fatto Nike?! Vuoi veramente metterti contro la Paladina di Idomea? Perfino Alexios ha rinunciato!
Non che le parole di Azazel potessero fermarlo. Alma allungò una mano verso la creatura nell’attimo in cui Davorin saltò sul palco. Ancora pochi metri.
La scelta è ovvia per tutti.
Disse rivolto al Jin, accelerando la corsa quando il drago aprì le fauci. Selene ancora nel suo fodero.
Ma è fare scelte inaspettate che porta a risultati insperati. Non lascerò che una ragazza muoia così, né la aiuterò a uccidere quel drago.

L’aveva raggiunta. La fissò negli occhi nell’istante in cui il muso della bestia schioccò.
Poi l’urlo di dolore. Le zanne affondate nella carne, l’armatura trafitta come fosse burro, il sangue colato dal fianco fin sul palco macchiando le squame di quella creatura magnifica e letale. Davorin sorrise con la bocca piena di sangue stretto tra le fauci di Dubhàn.



Energia: 100 -10 =90%
Salute: 100 -20 =80%
Equipaggiamenti: Spada | Armatura

CAPACITÀ ATTIVE (Slot: 0/1)
Nessuna Capacità attivata.

GENERATORI ATTIVI
Nessun Generatore attivato.

TECNICHE ATTIVE
Mente fredda
Grazie al suo coraggio e alla sua determinazione, Davorin, può impedire che la sua mente venga manipolata.
[Pergamena: Consumo Medio, Potenza Media]

Riassunto: Eccomi, mi ributto a gamba tesa nella Quest. Ho recuperato il più brevemente possibile tutto ciò che è successo nei post precedenti e che ho saltato. Ancora più brevemente: mi difendo dall'offensiva mentale di Dubhàn con Mente fredda buttandomi poi tra il drago e Alma nel momento dell'attacco fisico, subendolo per intero. Sì, potevo ammortizzarlo o evitarlo del tutto con le tecniche in Scheda ma ho preferito subirlo come una sorta di "malus" per aver saltato i giri precedenti :sisi: Ora spero che Nike non mi dia il resto come hanno sempre promesso i miei in caso mi fossi fatto male facendo cose stupide.
 
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view post Posted on 26/4/2020, 19:50
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Virtù nel sangue
Finale

« Le tragedie ci creano o ci distruggono. »
Il Bianco si fermò a riflettere, abbandonandosi al proprio scranno di velluto scarlatto, vivendo un surreale momento di pace e quiete nel caos attorno. Alexios lo guardò con occhi tristi, costretto al silenzio e all'ubbidienza, incapace di agire.
« La Regina è stata sopraffatta dalle sue tragedie. » Scosse la testa, deluso. « Non troveremo alleati qui. »
Alexios si assicurò che nessuno potesse sentirli, quindi si fece animo e rivolse un'occhiata severa al suo superiore, tradendo un rapporto che andava oltre il dovere. « Tutto questo scompiglio... non saresti dovuto intervenire. »
« Non so cosa mi è preso. » un sorriso sfuggevole e rassegnato segnò il volto del dittatore, prima di sparire nella solita imperscrutabile serietà. « Da dieci anni non ho sentito l'impulso di agire come ora. Ma hai ragione, Alexios. Non avrei dovuto. »
Il Bianco si alzò dalla sua postazione, approfittando della situazione per non generare ulteriore confusione. Studiò attentamente la situazione: l'anfiteatro si era completamente svuotato e rimanevano soltanto le forze idomeane, il drago, la Regina e un manipolo di ingegneri dell'Alleanza che rimanevano alle spalle del loro leader, attendendo un suo ordine per agire. I soldati scarlatti dell'Antico Regno erano schierati in cerchio attorno alla creatura, pronti a trafiggerla con una pioggia di lance, ma la paladina Nike li teneva fermi attendendo un comando della sua regina. Un comando che sarebbe potuto essere solo una deludente resa, un presagio dell'imminente collasso del regno.
Lathi non poté che esserne rattristato.
Solo un individuo aveva dimostrato il coraggio necessario per ottenere il suo rispetto. Un uomo che sembrava non appartenere ad alcun schieramento. Si era gettato in difesa della Regina per motivi che il Bianco non si sarebbe mai potuto spiegare e l'aveva salvata. Il drago aveva affondato le fauci nella sua armatura, straziandola e imbrattandola di sangue, per poi gettarlo col disprezzo in un'angolo dell'arena dove ora Nike era intenta a curarlo facendo ricorso alle sue doti arcane. Ma quel singolo atto di eroismo non sarebbe bastato a salvare Idomea dalla stagnazione, né apparentemente a destare Alma, che rimaneva in ginocchio al cospetto del drago, paralizzata. Patetica.
« Ora basta...! Cosa intendi fare ancora? » Sbottò Alexios, cercando di fermare la rabbia che montava nel suo petto. Ma la risposta di Lathi fu secca.

« Mostrerò loro il potere delle catene. »

L'aria nell'anfiteatro vibrò per un istante, allertando tutti i presenti del massiccio cambio nell'etere tutt'attorno. Un cambio innaturale, che nessuno di loro aveva mai sperimentato prima. Il Maresciallo dell'Alleanza alzò una mano, incanalando il potere della sua mente per sollevare le pesanti catene che avevano tenuto il drago fermo e pronto al macello. Il metallo fu distorto con un sibilo sinistro e le parti spezzate si riunirono, fondendosi come se mai si fossero separate. Tintinnarono sopra le teste di tutti, scandendo quei secondi pieni di tensione, quindi precipitarono con velocità e furia verso il drago, avvinghiandovisi attorno e stringendolo in una morsa dolorosa. Il Bianco chiuse il pugno e l'estremità delle catene si piantò a terra frantumando la superficie dell'anfiteatro.
Sentendo le urla disperate della creatura, il cui sangue ora macchiava la sabbia tutt'attorno, Alma sembrò destarsi dal suo personale incubo.
« Dubhàn... »

« Il mio sbaglio è stato corretto. » Lathi sibilò verso Alexios. Gli voltò le spalle e si rivolse ai suoi uomini, quindi annunciò solennemente: « Torniamo in Patria. »
Ma prima che potesse fare un passo, un rumore metallico lo paralizzò e lo costrinse a voltarsi. Ciò che vide lo sorprese.
Alma era in piedi dinnanzi al drago, brandendo la Terza Reliquia. Aveva abbandonato il pesante mantello, le regalie e i gioielli nella sabbia. Indossava solo una veste candida con ricami d'argento e un drappo scarlatto pendeva dalle sue spalle, cullato dalla brezza. La nuova regina alzò la Spada Sanguigna e senza esitazione la schiantò verso le catene, una, due, tre volte. Tutta Idomea sembrava essersi fermata. I volti della nobiltà e dei cittadini iniziarono sbucare oltre il confine dell'anfiteatro, alcuni curiosi si spinsero anche al suo interno. Lathi li guardò sbalordito. Ancora, il cozzare metallico rimbombò tra le strade, ancora e ancora e ancora. Alma alzava la spada, brillante come un rubino, e con colpi determinati scalfiva le catene. Non un suono, non un lamento uscì dalle sue labbra. Benché la sua fronte si stesse imperlando di sudore e le sue braccia stessero iniziando a indolenzirsi la regina continuò la sua folle missione.
« Sei impazzita!? » Poco caratteristicamente il dittatore fu il primo ad alzare la voce. Le sue truppe, che erano come statue nella sua ombra, per la prima volta sembrarono scomporsi, iniziando a borbottare. Lathi si guardava attorno attonito, sempre più confuso. Perché nessuno la fermava? Né i suoi soldati, né Nike? Sono impazziti tutti?
« Se muori ora, il tuo popolo morirà con te. La tua nazione sarà dilaniata dall'interno. La pace che tanto hai sognato sarà solo un sogno perso nei rimpianti. Rispondimi. Rispondimi, donna! »

« La tua voce non raggiungerà la Regina. » Nike alzò lo sguardo verso il Bianco. Teneva tra le braccia Davorin. « E nessuno qui ascolterà le tue minacce. Non più. »
Un ultimo colpo, un ultimo rintocco.
Le catene si spezzarono di nuovo e il drago Dubhàn tornò lentamente sulle sue quattro zampe. Alzò il muso verso l'alto, liberando un potente ruggito e aprendo le ali. La membrana tra le sue squame era piena di sangue, strappata e bucata in più punti dalle violenze subite. Era una figura deforme, vittima di innumerevoli crudeltà nei vent'anni della sua vita, eppure in qualche modo possedeva ancora la maestosità che caratterizza la sua stirpe.
Alma allungò la mano sinistra verso il suo vecchio amico e il drago la annusò prima di lasciarsi carezzare. Con un tonfo abbandonò il suo peso sull'arena, stremato e provato dal tumulto. Era stato risvegliato dal tocco della sua unica amica.
« Non devi più soffrire. Non devi più temere. »
« Non devi più piangere o tremare. »
« Non devi più sognare la libertà. Non devi più rintanarti nell'ombra. »

Alma prese un respiro. Fu in quel momento che abbandonò sé stessa, rinunciando per sempre alla sua giovinezza, diventando finalmente la Regina. Si voltò, abbracciando con lo sguardo tutti gli Idomeani tornati tra gli spalti per assistere al destino della loro regina e della loro patria.
« Puoi sentirmi, Idomea? » annunciò, levando la Spada Sanguigna verso il cielo in segno di trionfo.
« Non devi più temere! Non devi più piangere o tremare! Mai più soffrirai nell'ombra! »
La regina piantò la Spada Sanguigna nel terreno. In qualche modo, nonostante tutto, nessuno avrebbe potuto contestare il suo diritto a regnare dopo aver assistito a quella determinazione. Anche se era nata da un'illusione, la speranza nei suoi occhi era luminosa come un faro nella nebbia, il suo sorriso abbagliante come il sorgere del sole. Persino Lathi non poté che rimanere in silenzio ad ascoltare l'inaugurazione di Alma.

fcHmmIM

« Oggi Idomea rinasce!
Di oggi non ricorderete il sangue versato, le urla, il dolore... no.
Ricordate e portate per sempre nel cuore il rumore di queste catene spezzate!
»


Così la Regina di Idomea fu benedetta non dai sangue dei sacrifici fatti per lei, ma dagli applausi e dall'amore del suo popolo.

[...]

Gli eventi dell'incoronazione di Alma Eosfilia furono la prima scintilla. La prima crepa nella diga.
Uno ad uno, tutti i leader delle più grandi fazioni di Atea avrebbero dovuto affrontare l'onda del cambiamento.
Cambiamenti che avrebbero per sempre segnato l'inizio di una nuova epoca.

QM Point

Gli eventi di Virtù nel sangue si concludono qui. Alma viene incoronata Regina, il drago Dubhàn viene salvato e il popolo di Idomea vede il primo spiraglio verso un futuro tanto agognato, lontano dallo spettro della guerra... almeno per il momento.
Col il calmarsi della situazione, una grande festa scoppia nella città reale. Tutti i maggiori npc si ritirano, comprese le forse dell'Alleanza. Tuttavia, se volete concordare dei dialoghi per un post conclusivo sono disponibile a organizzare qualcosa privatamente.
Dato il ritardo nella risposta perdonatemi se non aggiungo dei giudizi al vostro operato. Sono comunque felice che abbiate partecipato. Ecco quindi ciò che vi spetta:

Ricompense

RamsesIII: 400exp più il titolo di "Eroe dell'incoronazione" valido per i Picchi Vermigli. Sia il Regno di Idomea che l'Alleanza di Wye hanno riconosciuto il tuo valore, per questo ottieni un invito a entrare in una delle due fazioni con Davorin. Puoi accettare o rifiutare liberamente questo invito e sarà valido per sempre. In caso tu decida di accettare uno degli inviti contattami privatamente.
CITAZIONE
Davorin Trannyth ~ Eroe dell'incoronazione (Nei Picchi Vermigli)
Un guerriero che si è gettato tra le fauci di un drago pur di salvare una Regina non sua. Quale ricompensa potrebbe essere data per un simile atto di eroismo? Fu durante l'incoronazione di Alma Eosfilia che quest'uomo difese la nuova regina dall'attacco di un temibile drago portato in sacrificio. Ma le catene della bestia si spezzarono, liberando la sua furia e scatenando il panico. Solo Davorin, andando contro ai dettami della fede selenica, intervenne per salvare la giovane donna da morte certa. I cittadini mormorarono il suo nome per giorni e giorni e ancora adesso, indipendentemente da quale scelta abbia deciso di fare in seguito a questo sfortunato episodio, gli Idomeani sono pronti ad accogliere calorosamente il guerriero. La Regina stessa ha perdonato la sua intrusione e i cittadini sono ben felici di non dover applicare i severi dettami della fede per il salvatore della nuova speranza.
-
Titolo ottenuto nella giocata [Basilea] Virtù del sangue

Hole.: 200exp

Orto33: 200exp

H I G: 600exp

A Coldest Heaven vengono assegnati 300exp e a me 200exp per la gestione della giocata.
Tutti i conti verranno aggiornati a breve.
Alla prossima!
 
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