| “Posso mangiarti?” Ecco la tua vera natura, questa follia rivela ciò che siamo tutti alla fine dei conti: mostri. “Eh? Posso mangiarti?” Hai guardato troppo a lungo, la montagna era stregata. Non avvicinarti a me, scappa. Lo sento, non c'è più tempo, lo sento. Perdonami. Buio, di nuovo.
Cuore di grotta, parole di biasimo lisce, lisce sulla nostra pelle sulfurea, sui nostri occhi acquitrini. Ora puoi averlo, il gioco proibito in cui mi hai persa, eccolo qua tra i tuoi artigli freddi, freddi di onte mai vendicate, di carezze ruvide. Socchiudi la porta e lascia che le lucciole cantino altrove, parla con me, con noi. Mi vuoi ancora bene? No. Mi ami ancora o mi amasti mai? Forse. E allora perché piangi? Perché sono solo un sasso nel fondo del pozzo che è il tuo io, e ce ne sono altri mille come me smussati, ciottoli per giorni calcarei e per le nostre lingue salivose, laccati di inchiostri densi e pece. Piangi perché sono il tintinnio argentato del mezzogiorno, e quello della cena, campane da soggiorno: è tutto il suono che ricordi di me. Piangi perché sei stupido, piangi sempre, piangi nei momenti meno opportuni, piangi nel cuore della notte e sulla bocca del giorno, inondi il mondo delle tue lacrime cieche e i nostri profili di bosco si fanno radure alopecidi sulle linee. Scompariamo e affondiamo ogni giorno con meno garbo, con più fretta e meno senno, e tu ricordi sempre meno: la mia voce si mescola a quella di mille altre e chissà, chissà se l'inflessione e l'accento di campagna riescono ancora a farti sentire che sono tua, che sono sangue del tuo sangue e sono sporca e pulita, come gli abiti lindi di cenere, che sono sporca e pulita. Ti manco? No. Mi odi o mi odiasti mai? Forse. E allora perché ridi? Perché non sei più che gli abiti che indossi, non sei oltre i tuoi calzoncini corti e la lanugine nelle tue tasche, finisci dove tocchi con le dita e chi vuoi che ti accusi per questo? Ridi perché non puoi fare altro, ridi sul cuore della notte e sulla bocca del giorno, ridi sempre, ridi nei momenti meno opportuni. Puoi ancora provare rabbia? Forse. Sei arrabbiato perché ti mancano i tuoi denti da latte e la tua pelle setosa di implume, e neanche sai più quanta tristezza vigeva. È così facile pensare che si stava meglio, è così necessario. Ti ho amato? Troppo. Ti amo ancora? Non lo so. Tu mi rattristi, sei come un pesco che sboccia veleno, un albero di serpenti, se vogliamo, sei come il fango e cosa sei? Terra? Acqua? Non hai ancora deciso, non sai mai decidere, tu; mi disgusti. Fa male, fa malissimo essere un coltello nel tuo fianco, ma è l'ultimo piacere che mi resta e dovrai farmi la cortesia di lasciarlo mio. Tu vuoi strapparmi al cielo, vuoi ghermirmi con le tue braccia lunghe e spogliarmi, sporcarmi per sempre e divorarmi l'anima un morso alla volta, fino al torsolo, e poi neanche quello. Ma noi siamo pace e guerra, c'è un covo di pirati nel nostro cuore e banchettiamo, brindiamo, cin cin, cin cin. Hai paura che tutto questo sia reale, sia semplice quanto appare, hai paura ed è tutto ciò che ti resta da provare sulla pelle prima di dirti concluso, definito, acqua o terra.
C'è luce, per un attimo, ma cosa importa della luce, a chi vogliono darla a bere? Lascia la porta socchiusa e rimani con me a fare salotto, lascia che si occupi di tutto lui, click, spenta. Sei arrabbiato, posso dirlo dai tuoi occhi, perché hai ancora fiducia e amore triste, non impari mai, non riesci ad essere la bestia che vorresti e scivoli, scivoli ad ogni tozzo di pane duro in qualche tranello, scivoli nelle trappole più ovvie e credi ancora nel bene vero come una forza propria di questo mondo, proprio tu. Ma lui è un mostro, e lo sei anche tu, dovresti ora più che mai sentire una forte simpatia e un sentore di casa; ma sei arrabbiato, e non puoi fermarlo in nessun modo. Rimani qui, parliamo ancora un po', facciamo i capricci.
Crack.
Hai preso una bella botta, un bel lucernario in questo salottino. Potrei scappare da lì, da quel buco sul capo, potrei risalire la mia via fuori dalla tua testa malconcia e prendere residenza fuori dalla prigione dei tuoi pensieri, che ho fatto io per meritarlo? Fa male, fa malissimo essere costretta in un ricordo che non vuoi più e che non puoi lasciare andare. Fa male il modo in cui mi distorci e cerchi di adattarmi ad ogni momento triste, ogni giorno con una voce nuova e abiti puliti. Non è cambiato niente: eri una creatura del cielo e non sapevi volare, e ora sei una creatura del buio e non vedi un accidente; forse i tuoi occhi sono il problema, forse pecchi di ali. Sei arrabbiato. Perché? Non te lo ricordi neanche più, ma non puoi fermarlo: sei scritturato in questa sceneggiata di odio e puoi solo ballare, accanirti, ringhiare e ululare alla luna che ti rinnega, che ti sputa contro il suo dissenso quando la tua pelle brucia al suo fascino. Hai ancora una pelle e non è più quella con cui sei nato, devi aver fatto la muta, fai due più due e viene fuori che sei un serpente venefico, e se mi lasci procedere per intuito ti direi che non basterebbe tutto il male del mondo a trasformare un uomo in un rettile, forse sei nato così. Scuoti la testa, ma lo sai che è vero, nel profondo. E allora cosa rimane a un rettile, se ha il sangue caldo e può piangere? Cosa gli resta se non l'abbraccio violento di un costrittore, che cinge nelle sue spire tutto quel che può ottenere e finisce per spremerlo, per spezzarlo.
Non guardare fuori, lascia che faccia tutto lui, socchiudi la porta. Eccolo che parte, senza mani, solo magli infiniti neri e rossi come una notte di finimondo, grezzi. Un colpo, poi un altro, poi un terzo, poi un quarto. Da sopra, poi di nuovo, poi da destra, poi un montante. Quale furia cieca, non guardare: fa male, fa malissimo. Lo spezzerai per la tua inadeguatezza, per la tua notte che non finisce mai e per le tue mani inadatte a fare altro. Sei triste, lo posso vedere dai tuoi occhi, ma non sai più confessarlo a nessuno. Sei tu e non sei tu, sei acqua e sei terra, fanghiglia, una pozzanghera. Lui cosa è? Il mostro con gli occhi di faro, o il bambino dispettoso che ti faceva invidia? Tu cosa sei? Ti perdonerai ancora per il sangue versato, pagherai ancora il mondo con la stessa moneta finché non ci sarà più una goccia di buono da bere. Non credere di non essere tu o di essere salvo solo perché sei qui, devo dirtelo in severa sincerità. Tu sei tutto il male che compi, anche quello che non sai fermare, tu sei ogni scelta che hai preso e tutte le scale del grigio, del rosso. Quanta forza, quanta verve, quale prezzo insostenibile non potersi più specchiare in acque limpide senza un senso di vomito costante, essere per sempre fango.
Chiosa nella furia di Meccabi la notte sull'Ouranide buio, mentre fuori fa alba, i suoi occhi si spengono e la porta si socchiude. Ghigna malevolo, serpe è e sibila, shhhh, shhhhh. Ora non c'è pietà e compassione, solo la trama buia di questa storia a dispiegarsi, scossa. Fende, fende perché è l'unica cosa che sa fare, è il motivo delle sue mani di acciaio. Un colpo, poi un altro, poi un terzo ed un quarto. Da sopra, poi di nuovo, poi da destra e infine un montante. Cieco per la ferita al capo e pazzo per la ferita all'orgoglio, fende e distrugge ciò che resta di buono.
Salute: 130-----------------------------------------Arrokoth---------------------------------------Energia: 30
Slot tecnica utilizzati: 2----------------------------------------------------------------------------------------------- Slot capacità utillizzati: 2
Capacità attive
● Autoflagellazione: Se Arrokoth si trova in uno stato di incontrollabilità dovuto ad un'abilità, può castare le sue tecniche come se richiedessero salute invece che potere.
● Armi cangianti: Le braccia di Arrokoth sono vermiglie e traslucenti, impossibili da definire in una forma. Esse possono mutare in tutti i tipi di armi da mischia, a patto che il guerriero sia in grado di sollevarle, diventando resistenti come l'acciaio comune.
● Shillelagh: Arrokoth, attivando questa capacità, ottiene una forza di sollevamento sovrumana, che gli consente di utilizzare armi altrimenti impossibili da brandire per un uomo comune.
● Mesmer: Attivata questa capacità, Arrokoth è in grado di scagliare una serie furiosa di colpi, per sopraffare l'avversario con la loro folle velocità, o per distribuire la sua ferocia su più nemici. I colpi hanno potenza nulla.
Generatori
● Affinità bestiale: Una volta per turno, se il Meccabisso è in uno stato di incontrollabilità, ottiene uno slot capacità
Tecniche utilizzate
● Ballo delle furie: Supporto. Arrokoth cade in uno stato di trance violenta, in cui assalirà ogni cosa che lo circonda senza fare distinzione tra alleati e nemici. Inoltre durante l'effetto di questa tecnica il Meccabisso non potrà elaborare complesse strategie. Il figlio dell'astro buio potrà attivare due proprie capacità come se non costassero slot per ogni turno di attivazione di questa tecnica. [Consumo medio, potenza media: durata 4 turni]
● Pergamena rivelatrice: Arrokoth sa schermare la sua mente da quasi tutte le influenze esterne a quella di Meccabi, l'astro nero, proteggendo oltre al suo corpo il suo senno. [Consumo medio, potenza media]
Stato Psicofisico
Afflitto dal rimorso, intrappolato nella sua mente, ciecamente furioso. Danno medio alla testa. Danno medio diffuso sul corpo (consumo pergamena rivelatrice)
Riassunto azioni
Se quello di prima era un post introspettivo, questo lo è per dieci volte. Ho deciso di gestire così i momenti di furia di Arrokoth, come momenti di flussi di pensieri scollegati dall'azione che viene solo narrata dalle voci nella sua testa, di varie donne importanti della sua vita che si sovrappongono l'un l'altra in un miasma indistinguibile. Questo perché la sua furia consiste nella presa di possesso del suo corpo da parte di Meccabi, lasciando di fatti Arrokoth fuori dall'azione. Sto ancora adattandomi, ovviamente. Spero comunque che risulti abbastanza chiaro: Arrokoth vede il bambino trasformarsi e sente immediatamente la furia incendiarsi in lui. La malia di "stordimento" viene assorbita del tutto dalla mia difesa psionica, che si attiva quasi inconsciamente (consumando vita invece che energia). Ho deciso di fargli incassare il colpo alla testa dato che, pur vedendo gli occhi del bambino, non vede le braccia (O almeno non bene), e l'ho trattato come un medio considerata la capacità di super forza, ma anche il fatto che stesse usando un'arma improvvisata. Non ho approfondito sul dolore che sente il corpo di Arrokoth (ovviamente presente) nello spirito di totale distanza che il post esprime. Ormai cieco ad ogni ragione e sentimento che provava prima, il corpo di Arrokoth reagisce in maniera furiosa: tramutando i suoi arti in grossi magli pesanti e scagliando 4 colpi verso il vampiro (ho pensato che 4 fosse un numero giusto data la mia capacità analoga a turbinio del predone): due dall'alto verso il basso diretti alla testa, poi uno da destra verso il fianco, e l'ultimo è un montante. Arrokoth rimane pressoché immobile per l'interezza del turno, curva solo la schiena quando riceve il colpo, per il resto non mostra espressioni se non un ghigno poco accomodante.
Note e osservazioni
- Ho indicato 2 nella sezione "slot capacità utlizzati" perché due delle quattro capacità in questione le uso senza slot grazie a Ballo delle furie.
-Spero che nella sua confusione il post non risulti tanto inaccessibile da essere spiacevole e inconcludente, ovviamente molti dei riferimenti sono cose che si approfondiranno in seguito.
-Sì, ho preso spunto dal finale di Evangelion
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