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Chrysalis ~ Il suono di un tramonto

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view post Posted on 11/4/2020, 12:52
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il suono di un tramonto ~

ti giri e ti rigiri,
cercando di dormire.
ma comprendi in fretta che queste stelle
non ti daranno conforto
e non ti salveranno.

UXievKf

Riesci a guardare la luna, splendere nell'arco celeste di questa magnifica notte?
Riesci a incrociare il suo bagliore, che violentemente attraversa la polvere che rimane del tuo corpo?
Riesci a sentire il desiderio che ti ha spinto a tutto questo, portandoti a rinunciare a te stessa?
C'è stato un tempo, sai, in cui esistevi.

Un tempo in cui potevi guardare la bianca luna trasformare il buio in luce; la stessa bianca luna che ti benediva della vita e che, allo stesso tempo, ti costringeva alle catene di un desiderio che mai - e ora lo comprendi ancor meglio - si sarebbe realizzato. Odiavi quella luna, seppure senza di essa non potevi manifestarti. La odiavi e odiavi te stessa senza limiti, un fiume in piena pronto a travolgere qualsiasi cosa sul proprio cammino.

Che senso aveva, vivere, se dovevi farlo da sola?
Te lo sei domandata così tante volte e così tante volte ti eri ritrovata a piangere nell'oblio della solitudine forzata cui eri sottoposta. Non sapevi nemmeno cosa significasse esistere, prima di scoprire Lui. Avevi guardato al mondo come fosse un inutile pezzo di carta per così tanto tempo da non comprendere come potessi esserti trasformata in una goccia d'inchiostro pronta a colorarne l'intera superficie. Ma non da sola, no. In qualche secondo, il tempo di realizzare cosa ti era mancato per così tanto tempo, avevi compreso la tua vera natura, il tuo scopo, il tuo desiderio più intimo. La forza che ti spingeva, ogni sera, a provare l'impossibile pur di sentire il suo respiro. Alcuni ti chiamavano illusione, altri parlavano di te come fossi uno spirito inquieto incapace di domare la propria rabbia.
Tu, che eri nata dal desiderio di morte di amanti incapaci di sostenere la propria sofferenza, che ti trovavi ad assistere al loro arrendersi all'idea di una pace ultraterrena. Tu che per così tanto tempo ti eri trovata a chiederti il perché delle cose, il perché di quelle persone e del loro sentimento di sconfitta. Non lo comprendevi, non lo avevi mai capito a pieno.
Un Geist, alcuni dicevano.
Titoli che non sopportavi sentire, poiché affibbiati alla tua magnificenza e al tuo splendore da sciocchi avventurieri che osavano profanare le tue ricchezze. Parole che non ti appartenevano, quelle degli uomini del continente e degli abissali che dai loro territori ti osservavano timorosi.
Isola degli Amanti... il luogo giusto per completare la propria esistenza in un abisso senza fondo, per coloro che non riuscivano a sopportare il peso di un sentimento così importante e doloroso come l'amore. Li avevi visti, uno dopo l'altro, gettarsi dall'alto della scogliera. Avevi avvertito chiaramente i loro passi lungo il tuo corpo roccioso, lungo le fronde dei tuoi alberi, attraverso la sabbia delle tue spiagge. Un ciclo infinito che sembrava alimentare il tuo potere e, in una maniera che non riuscivi a capire, la tua esistenza.

Drych.
Così ti definivi, prima del suo arrivo: uno specchio incapace di mostrare altro che la propria immagine riflessa in uno sfondo d'odio e sofferenza. Una creatura incapace di comprendere ciò che accadeva sullo stesso corpo che la costituiva. Un mostro, per alcuni, la cui attività era rilegata alla presenza della Luna Bianca, nelle notti che l'isola affrontava con lutto per nulla dignitoso.
Poi, non avevi neanche capito come, successe. Te lo ricordi? Riesci a figurarti l'attimo preciso nel quale riuscisti ad osservare l'altra metà dell'isola muoversi? Ricordi quell'albero rigoglioso ondeggiare come a salutarti? Ti è ancora possibile ricordarlo, ora che sei solo polvere e morte? Riesci ancora a sentire il suono del suo risveglio, dopo aver sacrificato tutto per lui? E per cosa, poi?
Per comprendere finalmente quel sentimento? Per considerarsi parte di qualcosa meno che di sé stessi? Per spingersi verso luoghi dell'animo a te ancora sconosciuti? Comprendevi l'amore ma non potevi averlo. Chiamavi sentimento un desiderio di morte.
Per cosa lo hai fatto?
Hai rinunciato a così tanto. Hai trasformato la pietra delle tue montagne in piccoli ciottoli accatastati accanto ai corpi inermi. Hai consumato l'oro della tua spiaggia in sabbia nascosta sul fondale dell'oceano. Hai incanalato tutta te stessa in un misero pezzo d'argilla e ti sei lasciata trasportare dal vento e dalla distruzione di ciò che avevi creato per così tanto. Un passo alla volta, centimetro dopo centimetro. Ti sei avvicinata mentre tutto, alle tue spalle, crollava. Hai raggiunto la linea che ti divide da ciò che ti ha spinto a sacrificarti. La vedi, l'altra metà della moneta. La vedi. Ma forse non riuscirai a toccarla. Non c'è più terra da sacrificare, non c'è più vento pronto a spostarti verso di Lui. Non c'è più niente.
C'eri così vicina, Drych.
Così vicina, eppure lo spazio che ti separa da lui ti appare incolmabile. Respiri l'ultima volta, prima che l'alba cancelli ogni tua presenza. Il suono delle onde, le grida degli amanti disperati e quell'incessabile cantilena di desiderio che ti ha costretto in questo stato.
Nulla sarà come prima.
C'eri cosi vicina, Drych.
Ora non ti rimane altro che l'oblio che hai ospitato per così tanto. Chiudi gli occhi e riposa.
Sparisce la Luna Bianca, un'ultima volta.
E così sparisci tu.


Scena privata per l'evento Chrysalis.
La giocata si intende completa con il post successivo, dell'utente HIG.


Edited by Snek - 11/4/2020, 18:16
 
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view post Posted on 18/4/2020, 15:03
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Rhod sollevò gli occhi dal papiro e rimase per un po' sospeso tra realtà ed immaginazione. Lo scafo del brigantino fendeva le acque color del cobalto con stanco vigore, seguendo il ritmo del passo di un uomo centenario, e niente sembrava turbare il suo piacevole rollare. Quel tonfo sordo che aveva distratto il mozzo doveva pertanto essere stato il rumore di qualche marinaio sottocoperta che era crollato per il troppo alcol. Succedevano ancora fin troppo spesso questi spiacevoli episodi sulla Coda del Drago, a dispetto dell'indisponente rigore del Capitano Roger McCarthy, il quale era certo di aver gettato in mare tutto il rum che i suoi marinai si erano portati di nascosto sulla nave. Eppure, quasi ogni sera, c'era sempre chi sveniva ubriaco, chissà come.
Il mozzo scrollò le spalle, immergendosi di nuovo nei propri pensieri. Quanto a Rhod, invece, lui non era avvezzo ai vizi degli uomini. Quando il sole calava oltre i confini del mondo a lui piaceva ritirarsi in disparte e godersi lo spettacolo della natura marina. Il crepuscolo d'altronde non è forse quel momento magico in cui le onde dell'oceano sembrano accarezzare i flutti remoti del cielo? Due amanti appassionati seppur maledetti, giacché nel loro unirsi la luce della vita muore in riflessi abbaglianti ed ammalianti. Rhod si sedeva sul bordo dello scafo con un carboncino in mano ed un papiro sgualcito sulla coscia, tentando di acchiappare con le parole l'oltreumano che risplendeva in quelle immagini poetiche. Ma al termine di ogni tramonto, l'inestinguibile insoddisfazione del suo animo lo spingeva puntualmente a ripudiare il proprio lavoro e a gettarlo in mare. In un groviglio accartocciato, il papiro finiva ben presto per affondare, come una goletta speronata da una ciurma di briganti. E lui sorrideva, guardandolo, felice che la bellezza del mondo non potesse essere catturata dall'uomo nemmeno con il dono delle rime, libera come una farfalla mitologica che scivola elegantemente tra i fori delle reti dei bambini con fin troppa semplicità.

- - -

Sua nonna gli aveva raccontato la storia di Chyrd una mattina d'autunno, nel periodo dell'anno in cui il sole inizia pian piano a calare nella sua veglia letargica, davanti ad una discreta tazza di latte fresco, pesante, ed un cucchiaio d'avena.
Narrava con appassionato trasporto, l'anziana signora, quasi come se stesse citando le gesta eroiche di suo marito, suo padre o un qualche altro leggendario marinaio di famiglia. Raccontava di questo gigante dai capelli ribelli e selvaggi, con una chioma fitta quanto quella di una foresta tropicale, dagli occhi tanto profondi e saggi che parevano le acque piatte e calme di due laghi gemelli, dai denti decisi ma scavati dal sale, un po' come gli scogli imperituri che si affacciano sull'oceano, dal naso adunco paragonabile ad una collina verdeggiante che svettava verso il cielo, dando quasi l'impressione di voler artigliare l'astro nero lassù in alto, suo genitore.
L'anziana signora si sporgeva verso il suo piccolo nipotino, raccontandogli la novella con voce velata, quasi un sussurro, come se avesse temuto che qualcun altro avesse potuto sentirla e quindi sgridarla, ma con il chiaro ed unico intento di catturare ancor più l'interesse di Rhod. Gli narrava, senza sorvolare su alcun minuscolo dettaglio, della foga che il gigante metteva nelle sue infinite battaglie, di quanti cuori avesse spezzato con la sua forza brutale, di quanti amori avesse privato gli uomini codardi che vi erano incappati e sopra a quanti sogni di passione avesse banchettato con orgoglioso vanto. Chyrd, l'inarrestabile titano.

Ma venne anche per il gigante infine il momento, perché è inevitabile che prima o poi arrivi per tutti, che la curiosità si impadronì delle sue azioni, spingendolo a chiedersi cosa portasse gli uomini ad affrontarlo e quindi a perdere la vita. Non veniamo per affrontarti, ma per smettere di soffrire gli rispondeva allora un giovane piagnucoloso, ficcando il naso negli affari personali del titano pensieroso. Perché un'esistenza senza amore non val la pena d'esser vissuta gli faceva eco una donna grassa, in un'alzata di spalle. E la morte che ci offrite è delicata come un bacio concludeva un eunuco, agitando un ventaglio dorato per farsi aria.
Così Chyrd iniziò a riflettere su se stesso e sulla propria pochezza. Giorno dopo giorno riuscì a cogliere sempre più le miriadi di sfaccettature di quegli esseri materiali che venivano da lui per trovar pace dalle loro eterne sofferenze piuttosto che sfidare l'orgoglio di un titano invincibile. E in questa sua comprensione, d'esser nient'altro che nessuno, trasse allora consapevolezza: pure lui, a modo suo s'intende, amava qualcuno, anche se fino a quel momento non aveva ben carpito il significato di tale sentimento né l'importanza o la responsabilità se non anche i doveri che questo si portava appresso.
Marchiato com'era di così tanta rivalsa d'orgoglio il suo spirito, il gigante non poté tirarsi indietro. Decise di muoversi, di raggiungere la sua anima gemella. Ma come potete ben immaginare i titani non sono proprio del tutto progettati per divincolarsi e agitarsi come gli altri esseri viventi, men che meno quando i loro corpi sono radicati nelle profondità degli oceani e di loro solo il volto emerge, affacciandosi in un'isola.
Il sogno di Chyrd avrebbe avuto un costo. Piagato da un sentimento mortale, il suo cuore di pietra difatti si ammalò. Iniziò a sgretolarsi come la vetta di una montagna erosa dal vento, e ad ogni passo e ad ogni piroetta il suo corpo titanico si indeboliva, sbriciolandosi sempre più. Stava sacrificando se stesso in nome di un dolore umano asfissiante: l'insoddisfazione della disillusione. Esso lo trafiggeva in pieno petto, senza pietà, bloccandogli il respiro e facendogli assaporare quella letale, immonda spiacevolezza, senza il minimo ritegno. Il gigante si chiuse in se stesso, infelice non tanto perché incompleto giacché incapace di acciuffare l'amore, quanto perché fallimento, in quell'impresa. Lui, non più essere infallibile ma creatura misera, umana.
Nella sua desolazione sopraggiunse però un'idea, infine: uccidersi, proprio come quegli uomini in pena che andavano per mare cercandolo, in modo da non provar più dolore, magari, e così, nella morte, nell'ultimo istante della vita poter finalmente raggiungere ed ottenere ciò che gli mancava di più per essere qualcuno, qualcosa.
Nel fugace attimo del tramonto, quando le due lune si incontrarono sui versanti opposti dell'orizzonte terrestre, nell'unico frangente in cui era concesso l'inconcepibile, Chyrd ruotò su se stesso in un terremoto gravoso. Frammenti del suo corpo esplosero, ammorbando l'aria tutt'attorno in una nuvola di fumo, ma lui non demorse: doveva raggiungere l'amore, trascendere il limite umano e ridiventare un titano divino. Così spiccò un salto, un altro e un altro ancora, in una corsa goffa ma pur sempre forsennata contro il tempo, lo spazio e contro l'impossibile. Il suo intero essere si sfarinò in un dolore delirante.

La vide, ad un passo da lui, che gli correva appresso, anche lei degenerante. Gli parve di guardarsi allo specchio.
Ai giganti non rimase più niente addosso: due spogli, deformi, pigmei.
Un brivido profondo, però, li scosse.
Una coppia di briciole di polvere quasi si incontrò. Una brezza si levò proprio un attimo prima del loro bacio, facendole turbinare in una danza funesta e allontanandole l'una dall'altra per sempre.
Un grido di disperazione eruppe. Poi, il silenzio.

«E dopo che succede?» aveva chiesto Rhod
Il volto della nonna era diventato di colpo cupo. L'aveva fissato torva come se volesse ammonirlo di un pericolo imminente o sgridarlo per la sfacciataggine di una domanda indiscreta. Ma all'improvviso, dopo quell'attimo raggelante che al bambino era parso un'eternità, gli occhi dell'anziana signora si erano spalancati, come quelli di un giovane cerbiatto braccato da un borioso predatore.
«Io...» La nonna aveva posato lo sguardo in un punto lontano, alla propria destra, accigliata «Non lo so».


- - -


Il papiro appallottolato affondò nell'oceano.



TUMP!

Il brigantino venne sospinto avanti e indietro, destra e sinistra, come se all'improvviso fosse saltato sulla groppa di un bisonte o avesse cavalcato un maremoto imbizzarrito. Rhod dovette tenersi ben saldo al bordo dello scafo per non cadere in acqua.
L'onda di ritorno lo investì, schiaffeggiandolo di freddo e sale. Il mozzo venne scaraventato contro l'albero maestro. Nell'urto sbatté la testa in un TOC violento e si morse la lingua, lacerandola. Un fiotto di sangue scivolò dalla sua bocca. Eppure, per sua sfortuna, non svenne.
Nel velo stralunato dei suoi occhi lucidi, un'ombra più scura del grigiore del giorno e del buio delle sue pupille si innalzò gradualmente, coprendo l'intero universo. Il volto di Rhod si rigò di un'espressione innaturale, che avrebbe fatto ricredere persino il più fanatico sacerdote fiducioso dell'esistenza della misericordia di un Dio benevolo che in realtà quelle erano tutte cazzate.
A dispetto della sua età, il mozzo si ritrovò come un neonato di fronte alla prima difficoltà del mondo e comprese che per tutto quel tempo aveva creduto, invano come uno scellerato, di tenere ben saldo in mano il timone di una vita del cazzo quando invece (cu-cù!) non era manovrata né da lui né da nessun altro uomo, quella fottuta nave cigolante. I sovrani dell'esistenza erano ben altri. Rhod fu in grado di articolare soltanto un singolo singulto che vibrò nella profondità della sua gola, carico di terrore.
Un lamento spezzò il crepuscolo, divorando il mondo. Dentro il grido della creatura, tutta la disperazione di Chyrd e di Drych in unico fiato.



-
Sulla riva di una costa di poca importanza la risacca abbandonava un carboncino intagliato con fine meticolosità dalla mano di quello che appariva senz'ombra di dubbio uno scrittore modesto.
Dentro il cuore del carboncino la bellezza inespressa di un mondo indomabile.


 
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