Da quanto tempo vagava nel deserto di sale? Le zampe si trascinavano nei resti degli Uroborissi disegnando due lunghe scie dietro di lui; tutti quegli essere mostruosi schiacciati dalla Luna Bianca, che anche in quel momento illuminava la strada al mezzo topo. Il pelo di Hamelin era reso ispido dalla salinità dell’aria, gli occhi gli bruciavano e la lingua secca passava inutilmente sul muso nel tentativo di trovare un qualche tipo di ristoro. Ridacchiava di tanto in tanto, come se il Sole del giorno precedente -passato a marciare senza trovare riparo in quella distesa di desolazione e morte- l’avesse fatto impazzire. Ma non era pazzo, solo pregustava il momento in cui i suoi occhi rossi si sarebbero tuffati in quelli di Dantalion. Non riusciva a immaginarsi la forma della Bestia, ma aveva chiara l’idea di quei due pozzi in cui si sarebbe perso bramando che il suo desiderio venisse esaudito. La stanchezza iniziava a farsi sentire: lo stomaco gorgogliava famelico e la gola implorava acqua, arrancava affondando di tanto in tanto gli artigli delle zampe anteriori nel sale per darsi la spinta per un altro passo, come a cercare nell’essenza stessa del Dahak la forza di andare avanti.
Rosicchiava un pezzo di pane duro, gli incisivi grattavano la crosta muffa stretta tra le minuscole zampe. Aveva trascinato in un angolo buio della via gli avanzi gettati dalla locanda, e se li stava godendo con le orecchie drizzate e la coda pigramente abbandonata sul selciato. Gli occhi fissi sulla finestra illuminata del locale, che restituiva ai passanti -e a lui- le ombre degli avventori che mangiavano, bevevano e ridevano comodamente seduti sulle panche, riscaldati dal fuoco del camino. Non che il selciato non fosse comodo, sia chiaro, né che avesse bisogno di calore. Certo aveva piovuto e aveva il pelo fradicio, ma nulla era paragonabile alla sensazione di essere forse l’unico veramente libero in quel mondo di merda. Nulla… nemmeno un vero pasto, di quelli che ti riempiono lo stomaco. Nemmeno le parole sprecate con qualcuno in grado di risponderti. No no, lui aveva i suoi simili. Lui aveva i suoi topi. A essere sinceri, però, parlava con loro come alcuni uomini parlano con i loro cani, e in quel momento forse non sentiva freddo ma senza dubbio stava letteralmente morendo di fame. Lasciò quel pezzo di pane, morso non solo da lui, a uno dei suoi fratelli che dalle fogne lo avevano appena raggiunto, poi scattò verso lo scolo della locanda. Si appiattì sul terreno, spingendo senza sforzo la testa nello stretto buco nel muro di pietre e raggiunse la cucina in pochi secondi. Si guardò intorno rimanendo nell’oscurità, riconoscendo la zona -lontana dai fuochi del cuoco- dove il macellaio tagliava la carne; un garzone stava pulendo con uno straccio il pavimento lordo, spingendo il sangue mischiato ad acqua e sapone verso quel buco da cui Hamelin si stava affacciando. Un attimo di disattenzione del giovane e il ratto scattò ancora, questa volta andandosi a nascondere sotto il bancone del macellaio. Ormai conosceva bene la strada, i luoghi che poteva sfruttare per raggiungere qualcosa di fresco da mangiare, ma nonostante tutto quella restava una mossa disperata e non priva di rischi. Sfruttando il poco spazio tra il bancone e il muro Hamelin si arrampicò ancora, affondando poi i piccoli artigli nel legno di una trave che continuava fino al soffitto. Si mosse lentamente, sporse il muso di appena qualche centimetro e non appena si fu accertato che il garzone gli stava dando le spalle in pochi secondi raggiunse la trave più in alto, parallela al terreno, che l’avrebbe condotto quasi alla dispensa. Domani il sangue tocca a me, e tu ti becchi la merda. La curiosità del ratto lo costrinse a immobilizzarsi, colpito dalla voce di qualcuno appena entrato nella stanza. Si affacciò dalla trave guardando in basso, appena in tempo per cogliere la smorfia sconsolata del ragazzo con lo straccio. Un altro umano, più o meno della stessa età del primo, ridacchiava. Non alzare gli occhi al cielo, i patti sono patti, e la mia settimana è finita oggi. Da domani tu ti occupi delle latrine e io cercherò di ripulirmi qui le narici. I due non si assomigliavano per niente: biondo, gli occhi chiarissimi -quasi di ghiaccio- e i lineamenti duri quello che stava parlando, mentre l’altro era moro con gli occhi del colore del pelo di Hamelin. L’unica cosa che li accomunava era l’aspetto esile, ai limiti della malnutrizione. Il moro sbuffò. Pensi che ce ne andremo mai, Bastian? Pensi che tutto questo finirà mai o moriremo con in mano uno straccio o una pala? Credi che a me stia bene? Darei tutto quello che non ho per sapere come finiremo, tu e io. Anche perché, Hugo, se veramente dovremo pulire sangue e merda di altri fino alla fine dei nostri giorni, ti prego ammazzami in questo istante. Non tentarmi. Risero, ma Hamelin riuscì a sentire quanto quella risata fosse carica di dolore e speranze che entrambi i ragazzi sapevano sarebbero state disattese. Quel mondo non faceva sconti a nessuno, tutti erano destinati a morire proprio lì dov'erano nati. Loro due in quella sudicia locanda e lui nelle fogne. Tutti e tre, molto probabilmente, sarebbero stati mangiati dai ratti. Il fatto che qualcosa li rendesse simili non era certo motivo di vanto, per nessuno dei presenti in effetti. L’altro giorno ho sentito uno parlare di una cosa spaventosa. Riprese Bastian sedendosi con un saltello proprio sotto Hamelin, su quel bancone segnato dai tagli della mannaia. E dopo tre giorni l’hanno ritrovato morto qui dietro, con un bel sorriso sulla gola. Mimò con il pollice destro il gesto di una gola tagliata. E quello che diceva è proprio il genere di cosa che ti fa morire ammazzato. Quindi non capisco perch… Non capisco… lo interruppe Hugo …perché me ne stai parlando. So già che sei un codardo e non mi dirai nulla di più, quindi tieniti i tuoi segreti e non mi far rodere dalla curiosità. Codardo a chi?! Rispose alterato il biondo, saltando di nuovo giù e affrontando il moro. A te. Dammi del bugiardo e parla, o stai zitto e vattene. Voglio finire qui e andarmene a dormire prima che sia mattina. Bastian si guardò intorno, sbuffò e si poggiò contro una parete. Va bene, va bene. Te lo dico solo perché se fosse vero le nostre vite potrebbero cambiare da così… Alzò la mano destra con il palmo verso il pavimento, poi lo rivoltò …a così. Il moro rise. Sì, mi sembra un cambiamento degno di nota. Quell’uomo raccontava di un posto nel Dahak dove i desideri vengono esauditi. Diceva che lui c’era stato, e un mostro nell’ombra lo aveva messo alla prova. Un mostro che altri non è che la prima incarnazione di Ouroboros! La Bestia! Non ricordava bene come c’era arrivato, tanto questo posto è ficcato nel Deserto di Sale, ma fatto sta che Dantalion -il nome del mostro- aveva fatto sì che una donna bellissima si innamorasse di quell’uomo. E fidati Hugo, è stata una prova dura perfino per un figlio di Ouroboros, perché non ho mai visto prima un uomo tanto brutto. Forse non sei mai passato davanti uno specchio. Si beccò un pugno sulla spalla. E comunque mi vorresti dire che questo ha attraversato il Dahak e ha incontrato uno degli esseri più potenti, crudeli e spaventosi di Atea… per una scopata? Non solo, sarebbe riuscito a tornare vivo da tutto questo solo per farsi tagliare la gola da uno che magari voleva rubargli il borsello? A volte, Hugo, sei veramente stupido; più stupido di quel tizio, che ha sprecato il suo desiderio. Noi potremmo chiedere la libertà! Potere, denaro! Qualcosa che non finisca dopo una notte. E poi ti meravigli che sia morto? Chissà cosa gli aveva chiesto Dantalion, magari di non farne parole con nessuno. Sollevò le spalle. E se te ne vai in giro a raccontare a tutti che il figlio di Ouroboros sta nel Dahak a esaudire desideri… beh diciamo che morire è il minimo che puoi aspettarti. Mh? Gli occhi del giovane moro si spostarono sul soffitto attirati da un movimento fulmineo, cercarono di penetrare le ombre ma non videro niente, proprio lì dove fino a un istante prima Hamelin era rimasto in ascolto.
Quella duna si materializzò davanti a lui come fosse un miraggio. Non avrebbe saputo ridire come ci era arrivato, fatto sta che ora era lì, piantato immobile davanti una porta socchiusa. Non ricordava neanche di averla vista in lontananza, si era come appena svegliato e aprendo gli occhi se l’era ritrovata davanti. Ci siamo. Sussurrò. In uno sbuffo di sale la figura dell’Inumano si rimpicciolì assumendo le sembianze del ratto. Lasciando poche piccole impronte sul sale sgattaiolò dentro senza fare rumore. L’olfatto fino venne colpito subito dal forte tanfo di polvere, chiuso e… qualcos'altro. Qualcosa di antico, e di morto. Abbassò il muso fino a sfiorare la superficie irregolare su cui stava camminando rapido. Batté gli incisivi pronunciati su quel qualcosa che gli sembrava di riconoscere e fugò tutti i dubbi: erano ossa.
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